Epidemia colposa all’ospedale San Martino, la Cassazione decide a febbraio
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La Procura vuole una misura interdittiva per il primario Bianchini e due sanitari, il gip di Belluno e il Riesame hanno già rigettato il ricorso del procuratore Luca
BELLUNO. Caso Bianchini: la Cassazione deciderà il 10 febbraio. E quella della suprema corte (che si esprimerà sul reato di epidemia colposa contestato al primario di Otorinolaringoiatria, Roberto Bianchini e su quelli di falso ideologico in atto pubblico e favoreggiamento personale addebitati ai membri dell’Ufficio Procedimenti disciplinari, Raffaele Zanella e Antonella Fabbri ) è una decisione che farà giurisprudenza, perché di precedenti non ce ne sono. Il ricorso presentato dalla Procura a proposito delle misure interdittive – tre mesi di sospensione (per il primario anche dall’esercizio della professione) – sarà esaminato dalla Quarta sezione e, in questo passaggio, non sono coinvolte le altre due sanitarie coinvolte nell’inchiesta, Cristina Bortoluzzi e Tiziana Bortot.
Sulla vicenda si sono già espressi il gip bellunese Scolozzi, che ha rigettato la richiesta, e anche il Tribunale del Riesame di Venezia che, pur ammettendo il fatto che le condotte del primario sono state caratterizzate da colpevole sottovalutazione della situazione e da chiara superficialità, ha fatto notare che non c’è il nesso causale tra il suo comportamento (visite specialistiche senza la mascherina da positivo) dopo il rientro da una vacanza in Thailandia e lo scoppio del focolaio.
Focolaio che aveva coinvolto in prima battuta quattro persone, che a loro volta ne avevano infettate almeno altre dieci; il tutto aveva provocato la sorveglianza domiciliare per una settantina d’individui e 106 sanitari. In poche parole, secondo i giudici l’epidemia non è stata la conseguenza del suo atteggiamento professionale, premesso che la stessa dev’essere intesa come evento in grado di mettere in pericolo l’incolumità pubblica e di determinare il contagio di un numero indeterminato di individui.
Quanto alla posizione di Zanella e Fabbri, mancavano gli indispensabili gravi indizi di colpevolezza, a proposito dell’accusa di aver coperto e aiutato il primario a eludere le indagini svolte sul campo dalla Guardia di finanza.
Se la Corte di Cassazione dovesse seguire lo stesso indirizzo sarebbe il colpo finale all’inchiesta e alla Procura non rimarrebbe altro da fare che chiedere l’archiviazione del fascicolo. È quello che pensano gli avvocati difensori Moretti, De Vecchi e Rasera Berna, sempre sicuri dell’innocenza dei rispettivi assistiti. —