Mentre a Palazzo si litiga, fuori ci sono le crisi vere
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Dalla ex Embraco alla Whirlpool, dall'ex Alcoa alla Sematic, sono tanti i casi finiti sulle scrivanie del ministero dello Sviluppo. I tavoli di crisi sono 105 e riguardano 110.000 lavoratori circa.
La soluzione sembra a un passo, pronta ad essere afferrata, e poi si allontana nuovamente. Per i circa 400 lavoratori della ex Embraco, società piemontese che produce compressori per elettrodomestici, l'attesa per una qualche forma di rilancio dell'azienda è diventata estenuante. Il 20 gennaio si doveva tenere una riunione virtuale tra i responsabili del ministero per lo Sviluppo Economico con la sottosegretaria Alessandra Todde e i sindacati. L'incontro è slittato al 26 per poi essere rinviato ancora.
Una storia che si trascina da anni: da quando nel 2018 l'azienda, allora del gruppo Whirlpool, decise di mandare a casa 497 persone senza cassa integrazione (facendo infuriare il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda), ci sono stati vari e vani tentativi di salvataggio conditi da tante promesse non mantenute. Da quelle di Calenda a quelle di Domenico Arcuri (amministratore delegato di Invitalia). L'ultimo piano messo a punto dal ministero dello Sviluppo economico è la fusione con la veneta Wanbao-Acc (in amministrazione straordinaria) condita con 12 milioni di finanziamento per ricapitalizzare l'azienda veneta, ma la Commissione europea ha chiesto chiarimenti. E intanto il tempo passa.
Il caso Embraco è solo uno dei tanti finiti sulle scrivanie del ministero dello Sviluppo. Oggi i tavoli di crisi sono 105 e riguardano circa 110.000 lavoratori con circa 70 tavoli aperti da più di tre anni e circa 28 da ben sette anni. Al primo posto c'è sempre l'ex Ilva di Taranto, seguita dallo stesso ministro Stefano Patuanelli: bisogna mettere a punto il nuovo piano industriale e trovare un accordo con i sindacati sulla cassa integrazione che servirà a gestire la ristrutturazione e la transizione.
Una delle crisi più eclatanti riguarda il settore degli elettrodomestici e in particolare la Whirlpool di Napoli con 378 dipendenti in cassa integrazione e ben poche prospettive di riapertura della fabbrica. Ma tra le aziende in attesa di trovare un rilancio c'è anche la ex Alcoa, oggi Sider Alloy, in Sardegna, che aspetta i permessi ambientali e la realizzazione delle attività previste nel piano industriale. Tra Puglia e Piemonte si snoda il dramma dei 291 dipendenti di Alcar Industrie, settore metalmeccanico, per la quale si stanno cercando degli investitori interessati ai due stabilimenti mentre il baratro del fallimento si avvicina.
La Sematic di Osio Sotto, azienda di ascensori di proprietà della multinazionale tedesca Wittur Holding, ha annunciato l'intenzione di delocalizzare il 65-70% della produzione in Ungheria, mettendo a rischio 190 posti di lavoro. Mantre i 210 dipendenti della Goldoni di Carpi (macchine agricole) vedono il loro futuro in pericolo per timore che i padroni cinesi se ne vadano.
Per la Stefanel è arrivato in soccorso il gruppo Ovs, ma i sindacati sono preoccupati perché dei 137 dipendenti a rischio una parte non potrà essere riassorbita. Così come non hanno molte prospettive i 1.300 dipendenti di Mercatone Uno, fallita, costretti in cassa integrazione fino al prossimo mese di novembre. Va detto che il ministero è riuscito a risolvere alcune vertenze, come quelle di Pernigotti, Corneliani, Mahle o Auchan, partita con 6.200 esuberi ridotti a 795. E i tavoli di crisi sono dominuiti di una quindicina nel corso del 2020. Ma all'orizzonte si profila la fine del blocco dei licenziamenti. E sulle scrivanie del ministero i dossier caldi torneranno sfortunatamente a salire.