VIGNOLA Sono stati disposti gli arresti domiciliari per Franco Cioni di 73 anni che il 14 aprile ha soffocato con un cuscino la moglie Laura Amidei di 68 anni, a Vignola nel Modenese. Secondo gli accertamenti in corso da parte dei carabinieri di Sassuolo, l'uomo avrebbe ucciso la moglie a causa della malattia di quest'ultima e delle sue condizioni ormai gravissime della donna. Il 73enne, che ha chiamato lui stesso i carabinieri, è stato arrestato in flagranza. Abbiamo provato a ricostruire le fasi del tragico omicidio e il contesto in cui è maturato.
La telefonata è arrivata al numero di emergenza della centrale operativa poco dopo le 4.30 della notte. «Venite, ho ucciso mia moglie», ha sostanzialmente comunicato Franco Cioni all’operatore. Poche parole, giusto per offrire le prime informazioni utili, e la macchina dei soccorsi si è attivata per cercare di capire se davvero quella comunicazione fosse realtà o ci fosse la possibilità ancora di intervenire.
In via Degli Esposti, in una palazzina al civica 176, sono arrivati con rapidità i carabinieri della Tenenza di Vignola. La prima pattuglia è stata accolta sulla porta dal pensionato 73enne che ha sempre mostrato lucidità e collaborazione. I militari hanno potuto soltanto constatare l’epilogo di una storia d’amore degenerata a causa della malattia. Sul letto, infatti, c’era Laura Amidei, 68 anni, ex impiegata all'istituto Corni di Modena. Era già morta. Impossibile attivare qualsiasi manovra d’emergenza per poterla rianimare. Il medico legale, arrivato nell’appartamento al piano terra di un quartiere residenziale, a pochi passi dal cimitero, ha poi constatato il decesso causato da soffocamento. Ma per avere l’assoluta certezza sarà necessario quantomeno un esame affidato ai professionisti dell’Istituto di Medicina Legale del Policlinico di Modena dove la salma è stata inviata per accertamenti a disposizione del magistrato di turno. I necrofori l’hanno prelevata da via Degli Esposti poco dopo le 6 e l’hanno trasferita in ospedale.
La maestra Amidei è stata soffocata con un cuscino della loro casa. Lo ha raccontato il marito fin dai primi istanti ai carabinieri che sono intervenuti in forze. Poi l’uomo è stato accompagnato in caserma dove gli investigatori hanno espletato tutte le pratiche burocratiche previste in questi casi. Il 73enne ha ammesso da subito le proprie responsabilità: «Non volevo più vederla soffrire e l’ho fatto», ha confermato agli interlocutori che gli chiedevano conto dell’accaduto.
Il racconto, fornito nel dettaglio, è partito dalle condizioni di salute della donna. Da quasi cinque anni lottava contro un male inguaribile. Aveva fatto cure e terapie, aveva cercato di godersi tutti gli scampoli rimasti di vita insieme. Tra cui c’era la loro nuova abitazione, acquistata non troppo tempo fa: l’avevano voluta ad ogni costo, era piaciuta loro da subito e così avevano chiuso l’affare nonostante vi fossero anche altri acquirenti per quello spazioso e ampio appartamento al piano terra della palazzina.
Lì avevano scoperto del male, ma avevano anche tentato di ritrovare un barlume di serenità nella quotidianità. Ma nell’ultimo periodo le condizioni della donna erano drammaticamente precipitate. Era stato necessario ricoverarla in ospedale e soltanto negli ultimi giorni i sanitari avevano disposto le dimissioni quando ormai la situazione appariva destinata a volgere al peggio. Franco Cioni, con il solito amore e la grande abnegazione, aveva riaccolto Laura a casa, pronto di nuovo ad accudirla e a starle vicino. Ma ha capito che la sofferenza stava provocando dolori atroci e lancinanti alla moglie: «Non volevo più che soffrisse», ha ribadito più volte ai carabinieri. E ha così deciso di ucciderla.
Un racconto che non ha trovato alcuna incongruenza nella disperazione della vicenda tanto che il magistrato di turno ha disposto gli arresti domiciliari, nella stessa casa dove hanno trascorso gli ultimi anni di vita insieme. —
L’indagato controllato a vista Oggi interrogatorio di garanzia
Franco Cioni è ospite a casa della cognata che ha dato disponibilità ad accoglierlo anche per tenerlo monitorato ed evitare che possa lasciarsi andare a gesti inconsulti dopo quanto accaduto. Il pubblico ministero che si occupa dell’indagine, il dottor Pasquale Mazzei, ha ritenuta genuina la testimonianza del marito rilasciata ai carabinieri della Tenenza di Vignola. Il racconto risulta credibile in ogni passaggio e vista la situazione il magistrato ha optato per evitare al 73enne l’onta del carcere. Stamattina, comunque, Cioni comparirà davanti al giudice delle indagini preliminari per l’interrogatorio di garanzia quando è probabile che ribadirà il racconto fatto già ieri mattina. Al suo fianco ci sarà l’avvocato Simone Bonfante (NELLA FOTO), individuato come il legale che lo accompagnerà in questa delicata fase.
Cioni ha sempre mantenuto la sua linea: vedeva la moglie soffrire e quando ha preso coscienza che le sue condizioni erano in netto peggioramento ha deciso di agire.
Ma il territorio modenese non è purtroppo nuovo ad episodi in cui la componente psicologica e umana è predominante. Sono almeno due gli omicidi avvenuti nell’ultimo biennio a cui aggiungere un doppio suicidio, nell’agosto 2019, quando una coppia malata si tolse la vita in un noto resort di Carpi.
A maggio 2020 un altro omicidio per porre fine ad una vita di sofferenze avvenne a Carpi. I corpi senza vita di Viliam e Daniele Losi, padre e figlio disabile, sono vennero ritrovati nella loro abitazione, al pian terreno di una palazzina in via Longhena 16. Viliam, 69 anni, operaio in pensione, soffocò con un a sporta di plastica il Daniele, 37, tetraplegico dalla nascita e costretto a letto.
Un altro omicidio che si inserisce in uno sfondo psicologico complicato è quello di Teresa Petrone, 77 anni, casalinga. Nel luglio 2019, a Modena, fu uccisa dal marito Domenico Leonelli, 88 anni, nel loro appartamento di via Alassio 206, al nono piano. Inutilmente i medici di Baggiovara cercarono di salvarla: la coltellata al torace si rivelò fatale. Anche il marito era ferito: un taglio alla gola. Probabilmente segno di un tentativo di farla finita quando ha capito cosa aveva fatto. Medicato, fu stato portato al reparto di Diagnosi e Cura in stato di arresto per omicidio, piantonato dalla polizia. Il mese prossimo ci sarà la sentenza per l’omicidio. —
La coppia non ha figli e aveva scelto di trasferirsi da Modena, dove lei era impiegata all’istituto Corni e lui era magazziniere
I primi ad accorgersi che era accaduto qualcosa di grave sono stati alcuni vicini di casa di Laura Amidei e Franco Cioni. Quando hanno alzato le tapparelle o sono usciti per una camminata all’alba hanno notato le pattuglie dei carabinieri che entravano ed uscivano dalla palazzina e hanno capito che sarebbero arrivate soltanto brutte notizie. Avevano imparato a conoscere i due pensionati negli ultimi anni, da quando si erano trasferiti nell’appartamento al piano terra di via Degli Esposti, al civico 176.
In quella abitazione erano arrivati dopo una vita trascorsa a Modena: lei era stata un’impiegata amministrativa all’istituto Corni; lui invece ha fatto a lungo il magazziniere in un’azienda. Poi, terminata la vita lavorativa, hanno scelto di allontanarsi dalla caotica città per trasferirsi a Vignola nel 2013 dove avevano deciso di andare a vivere. E da un po’ di tempo avevano scelto quella casa in un quartiere tranquillo e ben servito.
Benestante, cortese e molto unita, la coppia non aveva figli. La situazione è precipitata quando a lei è stato diagnosticato un brutto male. E il marito si è messo a disposizione per accudirla in tutto senza mai chiedere particolari aiuti tanto che gli stessi Servizi sociali comunali non erano mai stati attivati per esigenze particolari o di trasporti sociali per visite o controlli.
«Li vedevamo uscire insieme a piedi – ammettono i vicini – Lui la seguiva con grande cura, era attento ad ogni dettaglio. Si percepiva tutto l’amore e l’affetto che li legavano».
«Non so cosa sia accaduto di preciso – spiega un’altra vicina poco dopo le 9 mentre esce dall’ascensore esterno della palazzina a due piani – So però che erano una bellissima coppia. Persone discrete, educate, purtroppo la malattia della moglie aveva provocato quelle preoccupazioni che non meritavano. Tra l’altro lei era appena tornata da un ricovero in ospedale, forse è accaduto qualcosa o hanno avuto delle brutte notizie, ancora peggiori di quelle che dovevano affrontare da tempo. Sono sconvolta».
Franco Cioni, per stare accanto alla moglie, si dedicava con grande attenzione al giardino e alla cura del condominio. «Vede lì? – indica un conoscente indicando l’area verde su cui si affacciano alcune finestre dell’appartamento della famiglia Cioni – Lui curava con grande attenzione tutto quanto, si occupava delle piante, di innaffiarle e tagliarle. Magari mentre lavorava, la moglie lo seguiva con lo sguardo e si riposava. Possiamo dire che era il tuttofare del condominio: c’erano anche i bidoni della spazzatura che con puntualità metteva fuori».
Anche il sindaco di Vignola, Emilia Muratori, esprime profondo cordoglio per quanto avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì, nei pressi della stazione dei treni. «Tutta la comunità di Vignola è stata colpita da questo drammatico evento. Io, in particolare, provo grande sconforto – dichiara Muratori – Si tratta di una situazione in cui emergono disperazione, solitudine e dolore. Questo ci colpisce e ci interroga». Muratori spiega che i due coniugi vivono a Vignola da diversi anni ma che mai si sono rivolti all’amministrazione o ai servizi sociali per chiedere un sostegno, psicologico o di natura assistenziale. «Per noi è quindi stata una scoperta, tragica e drammatica, per la quale non possiamo che esprimere profondo cordoglio e vicinanza ai loro famigliari e conoscenti». —
Lo psichiarta Laviola: «Un cortocircuito dove amore e egoismo si scontrano tra loro»
Cosa succede nell’animo di un essere umano quando decide, in ultima ratio, di commettere un atto efferato? L’amore si mescola alla disperazione nel gesto di Franco Cioni nei confronti della moglie Laura Amidei. Ma per chi assiste, da esterno, a questi fatti la ragione non trova soluzione. La Gazzetta ha chiesto un parere a riguardo al dottor Vittorio Laviola, dirigente medico psichiatra presso l’Azienda Usl di Modena, il quale ha collaborato anche per il Servizio di Psichiatria della Casa Circondariale di Modena.
«Stiamo quasi sicuramente parlando di un raptus che parte da uno stato d’animo in difficoltà. In questi casi sono il dolore e la disperazione a fare da detonatore a questi eventi veloci ed estremamente violenti. E oltre al dolore e alla disperazione, sentimenti portanti di queste situazioni, entra in gioco anche la paura».
Siamo quindi davanti a una sorta di schema della mente?
«Stiamo parlando di una teoria, non di una verità assoluta, alla quale però mi rifaccio con sicurezza per dare una spiegazione a questi eventi. La paura entra in gioco in maniera preponderante ma il dolore rimane il motore principale. Ed è un dolore che si manifesta sotto forma di disperazione, cioè sotto forma di perdita di speranza».
È possibile, in questi casi, mettere l’amore e l’egoismo sui due piatti di una ipotetica bilancia?
«È molto difficile separare le due cose. Ci sono per forza entrambi, amore ed egoismo, quando accadono situazioni di questo tipo. Stiamo parlando di due persone che si sono amate per tanto tempo e sono arrivate alla seconda età senza figli. Magari hanno condotto una vita il più normale possibile e non avevano particolari aspirazioni. In più, se di recente avevano deciso di investire per vivere l’ultima parte della vita insieme, in un ambiente più bello, confortevole e tranquillo, lontano dal caos cittadino, sicuramente allora stiamo parlando di un’alta percentuale di amore nella vita di questa coppia. Attenzione però, un amore anche per la vita di coppia».
Cioè?
«Cioè, per l’idea di essere insieme a qualcuno, di amare qualcuno di essere legato a qualcuno. L’idea di perdere questo scopo, questa vita che entrambi avevano immaginato può aver scatenato la violenza. E poi entra in gioco anche l’impotenza. La situazione d’impotenza deriva dalla disperazione. È la paura di non sapere affrontare il dolore della persona che se ne va con una malattia atroce, capace di generare sofferenze nella persona coinvolta e nel partner. In questi casi poi, la coppia diventa una realtà granitica, dove il singolo che assiste il compagno malato perde quei fattori protettivi che danno sicurezza, non ha più salvaguardie. Impotenza e disperazione sono sentimenti intimi, che scavano nel profondo».
Assistiamo quindi a una sorta di cortocircuito tra tutte queste forze della mente?
«Sì, è un cortocircuito. È un modo per saltare alle conclusioni, alla fine. È un meccanismo mentale che ci mette più tranquilli. Prendiamo ad esempio situazioni molto meno gravi di sofferenza. Quando facciamo un incidente in macchina, può succedere a volte di pensare di essere incapaci e di decidere quindi di non guidare più. È un salto alla fine. Certo, sono esempi che non sono comparabili, ma sono momenti in cui la mente si trova davanti a fatiche emotive, anche piccole, ma quotidiane e ripetitive che acuiscono il dolore a lungo termine. Il salto alle conclusioni è la prima strategia di adattamento. Nel nostro caso, di mal adattamento, pieno di tragicità immane. Ma il meccanismo di base potrebbe essere simile, analogo».
In questi casi, esistono dei percorsi di sostegno per chi commette questi tipi di delitti?
«Ci tengo a dire innanzitutto una cosa: c’è sempre un rimedio, sempre. In questi casi il rischio di disperazione e quindi di suicidio è altissimo. Soprattutto nell’immediato, perché il suicidio è un atto violento e aggressivo come l’omicidio. Questa è la prima cosa da scongiurare. Poi certo, esistono dei percorsi e dei supporti psicologici che molti professionisti portano avanti anche all’interno degli istituti penitenziari. Sempre nei limiti dell’assistenza che può esserci all’interno di un carcere o anche dei circuiti esterni, come per gli arresti domiciliari. Un percorso è sempre indicato, tanto che a volte è il giudice stesso a esprimersi in casi di sofferenza psichica evidente, disponendo il monitoraggio e la valutazione delle co
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