I soldi per i Porti escono dal Recovery Plan. “Pacchetto Trieste” nel fondo extra

I 400 milioni per lo scalo giuliano verranno inseriti in un nuovo Fondo complementare che il governo creerà con un decreto. Il trasloco interessa tutti i 2,8 miliardi stanziati per gli scali: occorre attendere che Palazzo Chigi confermi gli impegni presi

TRIESTE I 400 milioni del “pacchetto Trieste” escono dal Recovery Plan ed entrano nel nuovo Fondo complementare da 30 miliardi, che il governo ha creato per ospitare i progetti infrastrutturali che non potranno essere conclusi entro il 2026, come previsto dalla Commissione europea. Il trasloco vale, fra gli altri, per tutti i 2,8 miliardi che il Piano nazionale di ripresa e resilienza aveva stanziato per i porti italiani. Non sarà quindi il 30 aprile a sancire la certezza per Trieste di essere inserita nel Pnrr, ma bisognerà attendere che un decreto istituisca il Fondo, elenchi le opere previste e confermi gli impegni presi da Roma.

La notizia è trapelata ieri alla conclusione del vertice fra il premier Mario Draghi, i ministri coinvolti nella stesura del Pnrr e i capidelegazione della maggioranza. L’incontro è servito a fare il punto in vista del Consiglio dei ministri che oggi esaminerà il Pnrr da 191 miliardi, ai quali si aggiungono i 30 del nuovo fondo, le cui risorse saranno reperite grazie al nuovo deficit autorizzato dal Parlamento. I finanziamenti saranno erogati probabilmente nel giro di un decennio e questo apre più di qualche incognita, considerando la necessità che lo Stato avrà nei prossimi anni di ridurre la spesa dopo i rubinetti spalancati per fare fronte alla crisi Covid.

Durante il summit si è parlato di «approccio integrato tra Pnrr e Fondo complementare», per finanziare programmi eccedenti o non ammissibili secondo le regole Ue. Nelle slide di presentazione si assicura che i progetti spostati nel Fondo complementare seguiranno le stesse procedure di abilitazione, gli stessi target e le stesse forme di monitoraggio del Pnrr. «L’unica differenza rilevante» è in positivo: nessun parere preventivo di Bruxelles, nessun obbligo di rendicontazione e la possibilità di lavorare su scadenze più lunghe del 2026, una deadline molto stretta per gli investimenti previsti in porto.

Il Fondo complementare finanzierà 29 investimenti, fra cui il prolungamento del superbonus ristrutturazioni, la banda ultra larga, le tecnologie satellitari, la ricostruzione delle aree terremotate, il miglioramento della sicurezza stradale nel Sud e l’acquisto di autobus green. Fra le voci ci sono anche i 2,8 miliardi che il Pnrr aveva stanziato per gli interventi sui porti, a cominciare da Genova e Trieste. A una settimana dalla possibilità di veder confermato l’importante impegno del governo sulla crescita dello scalo, le risorse cambiano allocazione.

Il Pnrr prevedeva 400 milioni di investimenti per Trieste: 105 per l’area ex Aquila e le Noghere, 80 per lo sviluppo ferroviario, 100 per la riconversione dell’area a caldo della Ferriera, 100 per lo sviluppo del Molo VII e 30 per l’elettrificazione delle banchine.

Il presidente Zeno D’Agostino non commenta l’inatteso cambio di programma, ma dalle parti dell’Autorità portuale non si registrano segnali di nervosismo sulla possibilità che cominci un assalto alla diligenza fra territori rivali nell’accaparramento delle risorse.

Reduce dagli incontri sul Recovery tra governo e Conferenza delle Regioni, il presidente Massimiliano Fedriga attende maggiore chiarezza sulla questione e si limita a chiedere di «porre le basi su cui costruire la programmazione con i territori, per fare sintesi ed evitare sprechi. Il governo precedente ha coinvolto poco i territori. Il nuovo governo sta facendo incontri perlomeno per presentare» le linee guida, ma «non ci sono i tempi per modifiche». In questa prima fase, le proposte della Regione (un pacchetto da oltre 9 miliardi) non saranno quindi recepite nel testo del Pnrr che sarà mandato a Bruxelles il 30 aprile.

La capogruppo Pd alla Camera Debora Serracchiani condivide la scelta del governo di allungare i tempi della consegna delle opere, ricorrendo a finanziamenti paralleli al Pnrr: «Rispetto alle stringenti esigenze della tempistica imposte dal Recovery, c’è una logica nell’aver fatto entrare le grandi infrastrutture nel Fondo complementare, svincolato da quella tempistica. A tutela della realizzazione delle opere, il Pd ha chiesto al presidente Draghi che al Fondo si applichino le stesse regole del Pnrr»