Maxi-impianto Kronospan, perché per Ambiente servizi l'autorizzazione non va concessa: «Rischi per salute e lavoro»
Per il presidente di Ambiente servizi Gasparotto l’autorizzazione non va concessa. «Nascerebbe una specie di inceneritore di rifiuti di legno con forti emissioni»
Un impianto che avrà pesanti conseguenze sul piano industriale, ma anche e soprattutto su quello ambientale. A sostenerlo è il presidente della società Ambiente servizi di San Vito al Tagliamento Isaia Gasparotto, già sindaco e deputato, che si mette di traverso all’ampliamento della Kronospan, leader mondiale nella produzione e distribuzione di pannelli a base legnosa per edilizia e industria, nella zona industriale Ponte Rosso.
L’impianto che intende costruire la multinazionale austriaca, con un investimento di 250 milioni, sarà adiacente alla sede di Ambiente servizi («Nonostante la vicinanza, la nostra società non è stata informata ufficialmente di nulla», precisa Gasparotto) e si occuperà di raccolta, trasformazione e rigenerazione di rifiuto legnoso. La richiesta di autorizzazione è stata inoltrata alla Regione e ci sarà tempo sino al 14 maggio per presentare eventuali osservazioni. Il presidente di Ambiente servizi, parte da un’analisi della situazione del settore in Italia: «Nel nostro Paese si producono 2 milioni 216 mila tonnellate di rifiuti di legno, con una crescita dell’1-2 per cento l’anno, già utilizzati da una decina di imprese, tutte collocate nel Nord Italia, che fanno pannelli di truciolare per il settore del mobile. Noi siamo direttamente interessati essendo il centro della produzione di mobili tra le province di Pordenone e di Treviso».
Ora la Kronospan vuole inserirsi in questo mercato?
«L’aspetto grave è che con il totale sostegno della zona industriale Ponte Rosso e con una certa disponibilità dell’amministrazione sanvitese la Kronospan vuole costruire un maxi-impianto per produrre pannelli di truciolare derivante da legno di rifiuto. Si propone di raccogliere dalle 500 mila alle 600 mila tonnellate di rifiuto di legno proveniente da tutta Italia convogliandole nella zona industriale del Ponte Rosso. È stato detto che sposteranno il materiale attraverso la rete ferroviaria: impossibile. Per il trasporto ci vorranno invece 160 automezzi al giorno».
Quali conseguenze avrebbe il nuovo impianto per il settore in Italia?
«Se dovesse concretizzarsi l’obiettivo della Kronospan raccoglierebbero il 25-30 per cento dell’attuale legno disponibile. Accadrebbe che le imprese produttrici italiane, un paio delle quali collocate anche in regione, la Fantoni a Osoppo e la Bipan a Bicinicco, perderebbero il 30 per cento di legno. Per sostituire il legno da rifiuto dovrebbero utilizzare il legno vergine, non trattato, ma questo comporterebbe un aumento dei prezzi del truciolare da loro venduto alle industrie del mobile. L’obiettivo della Kronospan, se autorizzata, è quello di prendere in mano l’intera filiera italiana che riguarda i pannelli di legno da rifiuto mettendo fuori gioco le imprese nazionali, costrette ad aumentare i prezzi. La multinazionale si presenterebbe ai mobilifici, molti dei quali collocati tra Friuli e Veneto, offrendo prodotti a costi inferiori».
Ma con l’ampliamento ci sarà almeno una ricaduta positiva a livello occupazionale?
«Non è vero che ci sarà un aumento dell’occupazione. Se dici che assumerai cento persone in più a San Vito al Tagliamento con questo impianto portando via il lavoro agli altri, vuole dire che ci sarà chi perderà il posto nelle aziende concorrenti. Spero che la giunta regionale e l’associazione degli industriali prendano posizione al fine di difendere le imprese italiane».
Oltre alle ricadute in campo industriale, importanti sono anche quelle ambientali. Come valuta il progetto da questo punto di vista?
«Kronospan pensa di fare 1.750 metri cubi al giorno di pannelli. Vuol dire che ci saranno un milione 200 mila metri cubi di gas emessi per 24 ore al giorno per sette giorni la settimana. Siamo molto preoccupati perché questo impianto non soltanto è adiacente alla nostra sede, ma anche vicino al parco del Tagliamento. Queste emissioni investiranno tutti i lavoratori della zona industriale Ponte Rosso e soprattutto i centri abitati di San Vito e Casarsa. Quello che intendono fare è simile alla costruzione di un inceneritore perché bruceranno più di 100 mila tonnellate di rifiuti di legno che non serviranno per realizzare pannelli e produrranno forti emissioni. Siamo in presenza di sostanze come formaldeide, cadmio, tallio, mercurio, diossine, idrocarburi aromatici che sono altamente tossici. Vanno aggiunte poi le polveri ultrasottili che vengono rilasciate in atmosfera a causa della combustione della biomassa legnosa ad alta temperatura».
Che cosa si può fare per evitare un impatto ambientale ad alto rischio?
«La prima cosa che dovrebbe fare un’amministrazione pubblica è di valutare l’impatto sanitario. È vero che se uno si ferma al Ponte Rosso per pochi minuti non gli succede niente, ma le persone che ci lavoreranno magari per 20-30 anni potrebbero avere conseguenze gravi. Loro parlano di economia circolare, ma portare rifiuti da tutta Italia qui è il contrario di questo concetto. Ho visto un’ordinanza firmata dal sindaco un anno fa in cui il Comune impone ai cittadini di non accendere le stufe a legna perché inquinano e a utilizzare soltanto legno non trattato nelle foghere. Ma come, alla Kronospan si concede invece di bruciare legno trattato? Se si dovesse dare avvio a questo impianto ad alto impatto quanti altri insediamenti industriali si potrebbero ospitare al Ponte Rosso? Sarà più difficile aprire nuove attività. L’assurdo è poi che l’unica centralina che misura la qualità dell’aria nel Sanvitese si trova a Morsano, mentre una delle zona industriali più grandi della regione ne è sprovvista».
In attesa della pronuncia della Regione in merito all’autorizzazione, è stata avviata una raccolta di firme tra i dipendenti di Ambiente servizi e c’è grande mobilitazione tra San Vito e Casarsa per seguire quanto sta accadendo. «L’importante – secondo Gasparotto – è negare il consenso alla Kronospan, dandolo alle tante aziende che senza provocare un inquinamento così elevato possono puntare a un aumento dell’occupazione. È il caso di Ambiente servizi che ha investito 18 milioni di euro per sostituire tutti gli automezzi con altri a biometano (120 camion) e realizzare un distributore di questo gas in sede, partendo dall’uso della parte umida del rifiuto, ricavandone il biometano e riducendo considerevolmente le emissioni dei veicoli. Tra l’altro c’è stata una recente decisione dell’autorità europea per ridurre le emissioni del 55 per cento entro il 2030. Appare quindi assurdo autorizzare qualcosa che raddoppia o triplica le emissioni. Anche perché i soldi del Recovery fund saranno destinati a chi si muove nella direzione della sostenibilità». —