Strage di Rivarolo, Tarabella interrogato: "Ho ucciso perché mi hanno lasciato solo"
Dalle lunghissime 24 ore della strage, fino al movente dei quattro omicidi. Oggi pm, giudice e avvocata hanno raccolto la confessione del killer
LA SENTINELLA IN UN MINUTO
RIVAROLO CANAVESE. L’autore della strage di Rivarolo finalmente ha parlato. Renzo Tarabella ha affrontato stamattina l’interrogatorio di garanzia per la strage di Rivarolo al repartino delle Molinette. Il colloquio è durato due ore, dalle 10 alle 12. Presenti la pm Lea Lamonaca, l’avvocata Flavia Pivano e la giudice per le indagini preliminari Ombretta Vanini. Tanti gli aspetti trattatidal movente del duplice omicidio dei Dighera alla dinamica della strage durata quasi 24 ore.
«Ho ucciso perché ero rimasto solo. Abbandonato, con mia moglie malata e un figlio disabile da accudire. E il Covid ha peggiorato la situazione».
Questo ha detto l'assassino, apparso sofferente. «Il mio assistito aveva una voce flebile ed è rimasto molto provato anche a causa di quel colpo che si era riservato per sé. Il proiettile gli ha, infatti, leso l'occhio sinistro» ha spiegato la legale Flavia Pivano, che questa mattina nel reparto delle Molinette ha assistito al colloquio e che per Renzo Tarabella chiederà una perizia psichiatrica.
Alle Molinette era presente anche il giudice Ombretta Vanini, che ne aveva convalidato l'arresto il giorno dopo quella strage.
Tarabella ha detto che si sentiva abbandonato anche dai coniugi Dighera, che negli ultimi tre anni non si erano più presi cura di suo figlio Wilson disabile.
Tarabella avrebbe chiamato proprio Osvaldo Dighera dalla scale mentre usciva dall'ascensore al piano superiore dove abitava. A quel punto lo ha fatto entrare in casa e lì gli ha detto: «Guarda cosa ho fatto anche per colpa tua» e lo ha ammazzato con due colpi. un primo alla schiena ed un secondo alla testa.
I difensori della figlia delle vittime avvocati Sergio Bersano ed Antonella D’Amato, ripongono totale fiducia negli inquirenti e sono certi che le indagini chiariranno i motivi dell'assassinio dei coniugi Dighera. Motivi sui quali chiedono alle Isituzioni di rispondere all'inquietante interrogativo: questa strage poteva essere evitata?
Ma restano comunque ancora diversi aspetti da chiarire.
L’analisi dei tabulati telefonici non ha restituito elementi significativi per la ricostruzione. Tramonta, così, l’ipotesi della telefonata attraverso cui l’uomo avrebbe attirato i coniugi Osvaldo Dighera e Liliana Heidempergher nella casa in cui ha aveva già ucciso la moglie Maria Grazia Valovatto e il figlio Wilson Tarabella, trovati dai carabinieri della compagnia di Ivrea all’interno dei loro letti.
L’uomo è in condizioni cliniche buone, fuori pericolo, dopo esser stato trovato dai carabinieri sul letto, steso al fianco della moglie. Il colpo che si è sparato sotto il mento è uscito senza ledere alcun organo vitale. Trascinato via, ha mormorato solo: «Sono stato io».
I medici, però, hanno atteso una settimana per farlo parlare con giudici e avvocati. Neanche per l’avvocata Pivano è stato possibile raggiungerlo. L’83enne infatti è apparso confuso, poco presente a se stesso. Così nonostante sia stato trasferito dalla terapia intensiva del San Giovanni Bosco ormai da una settimana, il momento per l’interrogatorio è arrivato soltanto venerdì mattina, 23 aprile.
Le parole dell’uomo sono ritenute fondamentali, di fatto, per determinare cosa è successo in quelle lunghissime 24 ore. Dall’uccisione dei suoi famigliari, avvenuta nei rispettivi letti, tra la notte di venerdì 9 e la mattina di sabato 10 aprile, a quella dei coniugi Dighera, che si sarebbe verificata la sera intorno alle 20. E poi l’ingresso dei carabinieri intorno alle 3 di notte: solo allora Tarabella ha tentato il suicidio.
Cosa abbia fatto, l’uomo, in quel lasso di tempo resta un mistero. Forse ha messo a posto casa, trovata in un ordine maniacale, nonostante il sangue sparso ovunque. Sicuramente ha scritto i due bigliettini che ha lasciato per spiegare le uccisioni. Il primo rivolto alla moglie e al figlio «Ho dovuto farlo grazie a questa società», il secondo invece ai Dighera «I due signori hanno insultato mio figlio già morto ed è giusto che abbiano pagato». Entrambi frutto del delirio di un uomo che aveva compiuto quattro omicidi.