Covid, primo piano sulla situazione in Italia su contagi, ricoveri e vaccinazioni
L’ultimo monitoraggio settimanale dell’Iss e del ministero della Salute di pochi giorni fa fornisce una fotografia rosea della situazione epidemiologica italiana. L’indice Rt nazionale è sceso a 0.63, abbondantemente sotto la soglia di 1, l’incidenza dei casi (parametro essenziale per la classificazione delle regioni in colori) a 9 ogni 100mila abitanti rispetto agli 11 di ormai una dozzina di giorni fa. E anche il carico per il sistema sanitario nazionale risulta attualmente minimo: occupazione del 3% in terapia intensiva (la soglia critica è del 30%) e sempre del 3% in area medica (con soglia del 40%). Al 5 di luglio i numeri dicono rispettivamente che sono 191 i malati in condizioni gravi e 1.337 quelli ricoverati. Gli attuali positivi, almeno quelli ufficiali, sono poco più di 43mila. In calo costante da ormai molte settimane. Anche i decessi sono in discesa: secondo dati più aggiornati, nella settimana terminata il 5 luglio sono morte 177 persone, circa 25 al giorno. La scorsa settimana erano state 202 e scorrendo nelle settimane precedenti 268, 432, 477, 821, 1.069. In certi momenti dell’epidemia di morti ne abbiamo avuti 800 in un solo giorno.
Tuttavia il calo dei contagi si è fortemente ridotto nelle ultime due settimane. Già i monitoraggi Iss, e le indagini rapide a campione sui sequenziamenti, dimostravano d’altronde che la proporzione di casi di infezione da variante Delta fosse in aumento. I diversi focolai in molte parti d’Italia, come d’altronde in almeno una decina di paesi d’Europa che stanno assistendo a una risalita per ora lineare (anche l’Oms ha lanciato l’allarme per un autunno di nuovo difficile), potrebbero essere senz’altro alla base di questo progressivo rallentamento, destinato con ogni probabilità a far segnare una ripresa dei casi. Come dimostra il caso britannico, però, il rapporto fra infezioni, ricoveri (pure in aumento, ma molto più contenuto rispetto alla popolazione che si sta infettando) e decessi si è fortemente indebolito grazie allo scudo protettivo dei vaccini: meno di un contagiato su 50 finisce in ospedale, mentre a gennaio capitava a uno su dieci. Per questo il paese riaprirà comunque tutte le attività il 19 luglio. Ma si trova in una condizione abbastanza diversa dalla nostra e quella assunta dall’ex sindaco di Londra è una decisione in gran parte politica: il messaggio di Boris Johnson è che tutti hanno la possibilità di vaccinarsi – l’85% ha avuto una dose e due terzi entrambe – e che dunque questo sia il momento giusto, visto il successo dei vaccini, per riaprire e abituarsi a una convivenza con Sars-CoV-2 pur segnata da un boom di casi e altri decessi.
In Italia si procede abbondantemente sopra le 500mila iniezioni al giorno e il quadro attuale è di 54,3 milioni di vaccini somministrati: il 39,2% della popolazione sopra i 12 anni ha concluso il ciclo vaccinale, oltre il 55% ha ricevuto almeno una dose. Il commissario straordinario Figliuolo ha più volte rassicurato le regioni sul fatto che arriveranno forniture adeguate nel corso dell’estate per mantenere questo ritmo: si vedrà se in alcuni territori, contro la logica che invece ci vorrebbe velocissimi nelle vaccinazioni, occorrerà rinviare degli appuntamenti. Al momento sono state consegnate 60,9 milioni di dosi e ne sono state utilizzate 54,3, con le differenze del caso legate all’evidente sottoutilizzo di AstraZeneca e Johnson & Johnson e alla sostanziale dipendenza da Pfizer e in misura molto minore Moderna.
Bisogna infatti insistere e fare di più. Recuperare ad esempio quei 2,5 milioni di persone sopra i 60 anni che per le ragioni più varie non si è ancora fatto vedere dai sistemi sanitari locali. Sono a rischio sia adesso che in autunno. In particolare, nella fascia 60-69 anni sono in attesa di vaccino 1.458.624 di persone, pari al 19,31%. Nella fascia 70-79 anni sono 781.499 pari al 12,98%. Nella fascia over 80 sono 345.390, pari al 7,58%. Troppe: non ce le possiamo permettere. Sono persone che rischiano la vita o di finire in ospedale, se non subito nel giro di qualche settimana e soprattutto in autunno, quando avranno più probabilità di incrociare un infetto sulla loro strada. Bisogna poi accorciare i tempi dei richiami, evitare esitazioni, troppi calcoli vacanzieri e perdite di tempo. Per potersi presentare all’appuntamento autunnale con almeno l’85% della popolazione completamente vaccinata: quella, infatti, è la nuova soglia calcolata sulla base dell’indice di replicazione della variante Delta, del 40-60% più contagiosa dell’Alpha, ancora per poco il ceppo predominante. Il ciclo completo funziona contro la Delta, in particolare contro i casi gravi, per cui troppe preoccupazioni da quel punto di vista non ce ne sono.
La preoccupazione è appunto vaccinare, correre più veloce per contenere le conseguenze sugli ospedali: il fisico Roberto Battiston, ordinario all’università di Trento e responsabile dei dati Agenas sulla pandemia nelle regioni italiane, ha infatti spiegato al Corriere della Sera che si debba arrivare all’88% della popolazione vaccinata. Altri esperti individuano la soglia all’80%, contro quella vecchia del 60% stimata sul primo ceppo del virus e le successive. Più il tasso di replicazione si alza, insomma, più serve che la popolazione sia vaccinata per rallentare e poi spegnere la propagazione. Difficile raggiungere quella cifra entro fine settembre, in tempo per presentarsi completamente protetti alla stagione autunnale: per questo in molti sono tornati a parlare di obbligo vaccinale. Dato per scontato che di nuove chiusure non si potrà parlare, e senz’altro non rigide come quelle degli scorsi mesi, una delle strade possibili sarà impedire ai non vaccinati una serie di attività che invece richiederanno solo il completamento del ciclo vaccinale. Altrimenti che senso ha vaccinarsi per poi dover sottostare alle medesime misure di chi, invece, in modo irresponsabile se ne infischia?
I primi segnali dell’inversione di tendenza sul calo dei contagi, ininterrotto dalla primavera, erano d’altronde arrivati nelle scorse settimane. Delta non è una sorpresa. Nella scorsa, il calo è stato di appena il 5,7% – ma in 7 regioni e due province i numeri erano in crescita – contro il 31,2 della settimana 21-27 giugno, con un numero di tamponi paragonabile. Da aprile il trend non scendeva sotto il 10% ed è probabile che si sia sostanzialmente interrotto. Proprio a causa della variante Delta, destinata a diventare dominante nel corso di agosto e sostituire la Alpha. Proseguivano invece, con percentuali significative, i cali dei ricoveri in area medica e in terapia intensiva. Resta da capire in che modo si svilupperà questa crescita dei casi nel corso dell’estate e del primo autunno, in quale misura la protezione pur parziale dei vaccini riuscirà a spezzare il legame fra contagi, ricoveri e decessi anche in Italia e quanto invece altri elementi (come ad esempio la vita all’aperto, le condizioni di elevate temperature e insolazione e il mantenimento delle mascherine al chiuso e nelle condizioni di gruppo) riusciranno a fornirci qualche preziosa settimana in più entro settembre.