Un linguaggio inclusivo verso le colleghe? Ecco 6 strategie pratiche da usare subito
Una società che aspira a diventare più equa non può non interrogarsi sulla lingua che utilizza ogni giorno. La convivenza delle differenze passa anche da un linguaggio il più inclusivo possibile, nonostante alcuni ci tengano a ricordare che i problemi sono ben altri. Certo, temi come la differenza nelle retribuzioni e le molestie sul luogo di lavoro persistono e meritano sforzi continuativi; però questi problemi non escludono che si possa profondere energie anche su fronti come quello del linguaggio, con tutte le sue conseguenze sociali e identitarie.
Fortunatamente diverse istituzioni pubbliche e alcune aziende private – come Reckitt Italia che ha creato un dizionario aziendale dedicato – già lavorano su questi aspetti. In Italia il dibattito sul linguaggio inclusivo nei confronti delle donne inizia già negli anni Ottanta con il lavoro pioneristico di Alma Sabatini. E oggi anche «colossi» come l’Agenzia delle Entrate si stanno attivando: è di pochi mesi fa la pubblicazione delle «Linee guida per l’uso di un linguaggio rispettoso delle differenze di genere» dell’ente.
Nelle pagine introduttive di questo vademecum molto dettagliato, Francesca Bagno Cipriani, Consigliera Nazionale di Parità, osserva efficacemente quanto «i due obiettivi, il linguaggio di genere e una società equa con al centro il benessere dell’individuo, non siano distinti, ma fortemente intrecciati e che lo sviluppo dell’uno serva al raggiungimento dell’altro»; Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, osserva inoltre che questo tema è affrontato già da tempo dalle pubbliche amministrazioni di altri paesi, soprattutto quelli anglofoni, che per primi si sono attivati su questo fronte. Insomma, non ci stiamo inventando nulla di strambo.
Per chi ancora è convinto che usare un femminile professionale, e in generale un linguaggio che non “nasconde” la presenza delle donne nei contesti professionale, sia una cosa assurda, è utile ricordare che «è sempre molto difficile mettersi nei panni degli altri, o in questo caso delle altre, e comprendere il disagio provocato da comportamenti linguistici apparentemente innocui» osserva Vera Gheno, sociolinguista dell’Università di Firenze che da tempo si occupa di questi temi e autrice con Federico Faloppa del recente «Trovare le parole. Abbecedario per una comunicazione consapevole» (Edizioni GruppoAbele). «Direi che la cosa più importante, prima di cercare di cambiare la testa agli altri, sia quella di cambiarla noi stessi. E in questo cambiamento sono coinvolte anche le parole che usiamo. Guardando oltre il nostro orizzonte temporale, l’uso dei femminili professionali può persino modificare l’orizzonte delle ambizioni di una bambina, che così da grande si immaginerà di poter essere, sì, segretaria, maestra o sarta, ma anche avvocata, ministra e ambasciatrice, e non si sentirà esclusa da nessun genere di lavoro. A volte, aiuta pensare alle generazioni future».
Come lei, anche Manuela Manera ha studiato a fondo questi aspetti, e aggiunge che «comunichiamo costantemente e, anche quando la nostra attenzione non è focalizzata su “questioni di genere”, trasmettiamo comunque una serie di valori, giudizi, immagini legati al genere. Le parole sono piccole gocce, costanti e continue, capaci (come dice il detto latino) di scavare anche la roccia; veicolano messaggi più o meno espliciti che influiscono su identità e autostima. Non partiamo dal presupposto di essere al riparo da comportamenti sessisti: li agiamo e li subiamo. Allora, impariamo a usare le parole con cura e responsabilità, evitando stereotipi e discriminazioni: il rispetto passa anche dal linguaggio».
Ma come farlo, in pratica? Per chi volesse iniziare a profondere qualche energia per cambiare la propria comunicazione in ambito professionale, abbiamo chiesto a Gheno e Manera di individuare alcuni consigli di base. Una piccola guida introduttiva che trovate nella gallery e che potreste utilizzare nelle vostre relazioni con le colleghe per constatare come il cambiamento sia effettivamente a portata di mano, o meglio, di parola.
(Foto: unsplash.com).