Esiste una generazione di giovanotti, ormai non più di primo pelo, che di nascosto prendevano le scarpe della mamma e sognavano di roteare e muovere il caschetto al suono del rullo di tamburi. «Fatalità, brubum, porta portuna! », cantavano stonati sul letto portando indietro di colpo la testa per imitare l’iconico gesto che è stato un marchio di fabbrica. Raffaella, la Raffa Nazionale, è stata la più grande beniamina gay della storia della televisione italiana. Nessuna come lei è riuscita a incarnare quella voglia di libertà, quel glamour e quella disinvoltura che la comunità omosessuale voleva.
Lei stessa in un’intervista a Vanity Fair disse «Morirò senza saperlo. Sulla mia tomba lascerò scritto: perché sono piaciuta tanto ai gay?». Triste presagio a sentirlo oggi che la piangiamo. E ci domandiamo se davvero non lo conoscesse il motivo: fu proprio lei che nel 1979 in un’intervista a Tv, Sorrisi e Canzoni aveva affermato: «Vorrei che la gente smettesse di guardarli male (i gay, ndr). Hanno diritto al rispetto e anche a un po’ di compassione, visti i problemi umani e sociali che devono affrontare».
Raffaella chiamava, e la comunità gay rispondeva «al primo squillo». Già quando era piccola amava circondarsi di persone omosessuali: appena diciottenne, dopo anni di rapporto travagliato con il padre, la sua compagnia di amici non comprendeva neanche un eterosessuale. «Al cinema – diceva – quando faceva buio, non cercavano di tastarti».
«Ti lascerò, drudum, un ritornello». Nella canzone “Luca” del 1978, la Carrà racconta di un ragazzo di cui si era invaghita, ma che non ricambiava il suo interesse. Seguendo il testo si capisce che neanche troppo velatamente Luca era un ragazzo gay, attratto da un biondo più che dalla showgirl. Amati e copiati nelle case davanti agli specchi di tutta Italia i suoi balletti a Canzonissima, Buonasera Raffaella, Fantastico.
Adorata da tanti e tanto: si decise addirittura a fare un’apparizione nel video della canzone di Tiziano Ferro a lei dedicata. Ci sono nella sua carriera molti episodi di endorsement per la causa, i premi al World Pride di Madrid e le comparsate come madrina al Village di Roma. Tutti eventi che fanno di lei la più grande icona gay italiana di tutti i tempi. Friendly, honoris causa. «Fatalità, drudum, chiaro di luna».
Ma non è per questo che la Carrà è stata la soubrette più amata dalla generazione di uomini e donne omosessuali dagli anni ’70 agli anni ’90. Il motivo è molto più effimero, molto più delicato. Come affermò il Guardian, era una «sex symbol europea, l’icona culturale che ha insegnato all’Europa le gioie del sesso». La sua fu una rivoluzione culturale, sessuale, la stessa che parallelamente cercava la comunità Lgbt. Quella di Raffaella era una rivoluzione garbata, perbene, che piaceva alle madri e in cui si identificavano i figli. Oggi, che lei non c’è più, la comunità la saluta. «Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo». —