Il cashback funziona? Visioni contrapposte dopo l’alt del governo
Il secondo ciclo del cashback di Stato sarebbe dovuto partire il primo luglio. Ma il governo Draghi ha deciso di sospendere il programma che fu introdotto dal governo Conte per premiare con i rimborsi - appunto, i "cashback" - chi paga con la carta nei negozi fisici, escludendo lo shopping on-line. Lo stop ha mandato in fibrillazione la maggioranza e le diverse visioni sulla sua utilità si contrappongono ancora. È una misura giusta che spinge verso la digitalizzazione nel commercio e aiuta a combattere l’evasione fiscale? O è una misura poco efficace oltre che iniqua, perché dà soldi a chi può spendere di più? Ne parlano per noi Mauro Sylos Labini, ordinario di Politica economica all’Università di Pisa; e Chiara Rapallini, professoressa di Scienza delle finanze all’Università di Firenze.
Mauro Sylos Labini (prof Politica economica): Quei soldi possono essere spesi meglio
In una conferenza stampa del 20 maggio, alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se condividesse la proposta di alzare la tassa di successione, Mario Draghi rispose con una regola: quando l’economia è in recessione, «non è il momento di prendere soldi ai cittadini ma di darli». Come ogni regola che si rispetti ha presto trovato un’eccezione: il governo ha deciso che, dal 1° luglio, non rimborserà più ai cittadini una parte degli acquisti fatti con pagamenti elettronici (carte di pagamento e app) non on-line.
Indipendentemente dalla coerenza delle affermazioni di Draghi, come possiamo valutare la sospensione del programma cashback? A fronte di uno stanziamento di circa 1,7 miliardi per il 2021 (ci sarebbero stati anche 3 miliardi per il 2022), non sappiamo quanto il cashback sia riuscito a raggiungere il suo obiettivo principale: incentivare l’uso di strumenti elettronici di pagamento per ridurre le transazioni in nero. Non lo sappiamo perché il governo Conte non previde una valutazione di impatto del suo provvedimento. Secondo i numeri dell’app IO (io.italia.it/dashboard), quasi 9 milioni di persone hanno aderito al programma e realizzato, nel primo semestre 2021, circa 752 milioni di transazioni con pagamenti elettronici. Ma non esistono stime affidabili che consentano di valutare quante di queste sarebbero avvenute anche in assenza del programma. Né quindi sappiamo se le eventuali transazioni aggiuntive abbiano favorito l’emersione di acquisti che, senza il cashback, sarebbero stati occultati al fisco. Alcuni retroscena giornalistici, che citano fonti del Ministero delle Finanze, sostengono che il recupero dell’evasione sia stato inferiore ai 200 milioni. Ma senza conoscere la metodologia della stima è impossibile valutarne l’attendibilità.
Non esistono, quindi, valutazioni quantitative dell’impatto del cashback. Possiamo però avanzare alcune considerazioni qualitative. La misura ha obiettivi condivisibili: l’Italia ha un enorme problema di evasione fiscale ed è fra gli ultimi paesi europei nell’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici. Le due cose sono legate a doppio filo. Nel 2018, secondo stime della Banca d’Italia, le operazioni con carte e app erano 111 contro 265 nel resto dell’Eurozona. Le transazioni con pagamenti elettronici sono più complicate da nascondere al fisco e aumentano la base imponibile.
Detto ciò, diverse caratteristiche operative del programma cashback lasciano perplessi. Sempre secondo stime Bankitalia, il 73% delle famiglie italiane già spendeva con acquisti elettronici più del plafond previsto dal programma. Sarebbe bastato innalzarlo e dimezzare la percentuale del cashback (dal 10% al 5%) per aumentare gli incentivi per le famiglie senza incrementare i costi per lo Stato. Più in generale, il programma avrebbe potuto essere più selettivo e rimborsare in modo più generoso i cittadini e le famiglie che non utilizzavano abitualmente pagamenti elettronici prima del programma.
Infine, come ha ipotizzato il ministro Colao in un’audizione parlamentare del 18 marzo, nella quale peraltro ha dichiarato che il cashback è stato un grande successo, il programma ha spinto consumatori ed esercenti a utilizzare nuovi metodi di pagamento soprattutto nei primi mesi dalla sua introduzione. Non sarebbe stato un problema, quindi, fermarsi a metà (se questi comportamenti fossero stati permanenti). Se queste valutazioni sono corrette, la scelta di sospendere il programma è condivisibile. Un’ultima considerazione riguarda la ragione principale evidenziata da Draghi per sospendere il programma: la misura indirizza risorse economiche verso categorie e aree del paese più ricche, dato che utilizzano pagamenti elettronici con maggiore frequenza. Sarebbe, in altri termini, una politica economica regressiva. Anche in questo caso non esistono stime precise, ma è probabile che sia così. Se è davvero questa la ragione della sua abolizione, le risorse risparmiate andrebbero dirottate su politiche economiche contro la povertà e le disuguaglianze. In questo caso, anche l’eccezione alla regola richiamata all’inizio sarebbe pienamente condivisibile.
Chiara Rapallini (prof Scienza delle finanze): Una misura anti-evasione ed educativa
Prima di illustrare le ragioni a favore del cashback di Stato è bene distinguere le due modalità con cui è stato adottato. La prima, un cashback "semplice", dava diritto a un rimborso pari al 10% del valore di ogni pagamento fatto con carte elettroniche, a condizione di raggiungere 50 pagamenti tra il 1° gennaio e il 30 giugno 2021, e per un importo massimo di 150 euro. Il secondo è il super-cashback e sarà assegnato ai primi classificati di una graduatoria fatta sulla base del totale della spesa effettuata con carte. Il cashback semplice è sicuramente uno strumento di contrasto all’evasione fiscale e all’economia sommersa e questo è il suo pregio fondamentale. Come strumento di contrasto all’evasione fiscale, il cashback segue una filosofia simile a molte misure adottate nel passato, ossia quella di porre in contrasto gli interessi di due soggetti economici (in questo caso consumatore e commerciante). Se il commerciante non dà al consumatore l’opportunità di effettuare la transazione con il pos lo sta danneggiando, riducendo la possibilità di ricevere un rimborso. Esempio: è metà giugno, entro in un negozio e so di essere alla mia quarantottesima transazione, è evidente che io sia interessata a pagare con la carta e se l’esercente non mi consente di farlo sorge un contrasto di interesse. Il cashback voleva incentivare il consumatore a chiedere agli esercenti di dotarsi e rendere funzionante lo strumento elettronico. Il meccanismo è simile alla possibilità di detrarre (o dedurre) alcune spese dall’imposta personale sul reddito. Quando si paga la visita medica e il medico rilascia la fattura, l’importo pagato può essere portato in detrazione e questo dovrebbe incentivare il paziente a chiedere al professionista la regolare contabilizzazione della prestazione. In realtà l’obbligo per i commercianti di avere il pos e un limite all’utilizzo del contante per i pagamenti erano due strumenti di contrasto all’evasione già introdotti dal Governo Monti nel 2014. Dopo sette anni ne stiamo ancora discutendo.
Il secondo motivo con cui è stato introdotto il cashback è quello di favorire la digitalizzazione in Italia. In effetti i pagamenti elettronici sono solo una parte di un processo di trasformazione che dovrebbe consentirci di adottare la modalità digitale per molte delle nostre operazioni, non solo per i pagamenti. In questa prospettiva, se la digitalizzazione è un obiettivo da perseguire, è anche vero che c’è il rischio di lasciare fasce della popolazione escluse da questo processo e quindi anche dal cashback. Penso, ad esempio, ai più anziani. Il contrasto all’evasione fiscale è una priorità assoluta nel nostro paese e penso che tutti gli strumenti che vanno in questa direzione dovrebbero essere incoraggiati. In quest’ottica le misure tradizionali dovrebbero essere accompagnate da campagne volte a modificare le cosiddette "norme sociali".
Io sarei a favore di misure che non facciano solo leva sull’interesse economico dei cittadini. Insegno economia comportamentale e, dagli studi che adottano questo approccio, emerge con chiarezza che, ad esempio, nei comportamenti legati alla differenziazione dei rifiuti domestici, la riduzione tariffaria non incide sui comportamenti delle persone quanto può farlo il confronto sociale. Quanto differenzia il mio vicino di casa? È dimostrato che se si vuole aumentare la differenziazione dei rifiuti questo tipo di informazione è più utile dell’incentivo economico. Nel nostro paese deve cambiare, con campagne di informazione ben studiate, la mentalità per la quale l’evasore fiscale è ancora nell’immaginario collettivo un "furbo", mentre chi evade è di fatto un ladro. È una persona che manda i suoi figli a scuola, che usa il trasporto pubblico, che un giorno potrebbe aver bisogno delle cure di un ospedale, ma che non sta pagando niente di tutto ciò, mentre lo stanno pagando i suoi concittadini.
Diverso il discorso per il super-cashback. È chiaro che rimborsando (si ricordi che i rimborsi avvengono con soldi pubblici) coloro che hanno speso di più, si daranno risorse a persone ad alto reddito. È stata una misura a spese dei contribuenti, a vantaggio dei più ricchi. Per questo motivo su questo strumento non sono d’accordo. Al contrario, per il cashback semplice, stiamo parlando di poco più di 8 transazioni al mese: mi pare un numero alla portata di tutti. --
(Ha collaborato Luca Barbieri)
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