Nella Udine della grande guerra pensando all’arte del giovane Tiepolo
Un inedito di Melania Mazzucco. Alla scrittrice sarà consegnato il premio “Il racconto dei luoghi”
La scrittrice Melania Mazzucco riceverà sabato 18 settembre alle 18, allo Spazio San Giorgio, il Premio Letterario Friuli Venezia Giulia “Il racconto dei luoghi e del tempo”, istituito dalla Regione Friuli Venezia Giulia con Fondazione Pordenonelegge. Nell’occasione verrà presentato un racconto inedito che Melania Mazzucco ha dedicato al Tiepolo e alla città di Udine. Ne pubblichiamo un estratto su gentile concessione della casa editrice Italo Svevo, che lo edita.
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Con quale mezzo di trasporto il giovane Tiepolo arrivò a Udine da Venezia centonovantuno anni fa? Il patriarca che lo aveva ingaggiato gli avrà messo a disposizione una berlina: sarà stata come quelle che si vedono ancora in certi androni dei palazzi dei principi, dorate, decorate, coi reggifiaccole di ferro sbalzato e gli stemmi sulle portiere? Ma non era già così celebre e chiaro da essere trattato come un ospite di riguardo. Era ancora solo un pittore, considerato il primo di Venezia per la sbalorditiva velocità di esecuzione e la scioltezza del pennello, ma pur sempre lavoratore di un’arte meccanica, che viveva dell’opera della mano più che dell’ingegno, e perciò poteva viaggiare sui carri con le merci, oppure sulla carrozza di qualche proprietario terriero.
E sapeva dove stava andando? Io so che da quando siamo in guerra Udine è la vera capitale d’Italia, perché è installato qui il quartier generale del Comando supremo, è qui che si decide ogni strategia e si fa la storia.
Ma cos’era Udine, per Tiepolo? Una cittadina di provincia, all’estremo confine nord della Repubblica. Un castello medievale sulla collina più alta, il borgo sotto, con una manciata di bei palazzi delle famiglie di aristocratici, mercanti e possidenti fatti nobili per merito di denaro: lui, nato nella cosmopolita Venezia, l’avrà considerata poco più di un villaggio. E poi suo padre era un uomo di mare. Capitano di nave, proprietario di vascelli, commerciante di prodotti che profumavano di Oriente. E anche se non lo aveva quasi conosciuto, perché aveva un anno quando lo lasciò orfano, i racconti della madre, i rimpianti dei fratelli e delle sorelle maggiori gli avranno trasmesso l’amore per l’acqua, le onde, l’orizzonte. La terraferma dietro la laguna gli sarà sembrata buona per i contadini o gli aristocratici che ci andavano in villeggiatura.
Avrà pensato: vado, me la sbrigo presto, piglio i soldi e torno da Cecilia. La moglie giovane e bella come un’etera. A trent’anni la compagnia di un patriarca integerrimo con la fama di santo e dei suoi dotti preti doveva sembrargli deprimente. Aveva la mia stessa età la prima volta che è stato qui. Ma io non so dipingere, non ho talento, non ho moglie. E non mi aspettano né ricchezza né gloria.
Si sbrighi, lo apostrofò bruscamente una voce femminile, prenda il baule e andiamo, abbiamo sei ore di ritardo. Sul binario non c’era l’autista ma una donna con l’uniforme regolamentare della Croce Rossa Italiana: cappotto blu sulla tonaca bianca e soggolo sul capo a nasconderle i capelli. Nonostante la divisa mortificante non sembrava una suora. Piuttosto La regina Zenobia che arringa i suoi soldati – uno stupendo Tiepolo finito in America qualche anno prima. Se ne stava – come la regina siriaca – appoggiata col gomito sulla cappelliera che troneggiava in cima a un enorme baule, e con l’indice teso gli indicava l’atrio della stazione.
Temo mi abbia scambiato per l’inserviente di sanità, e mi creda, non vorrei mai deluderla, si scusò, sorridendo. Ma non son colui che crede. Mi chiamo Nilo Boschini, sono professore di Storia dell’arte, distaccato dalla soprintendenza alla protezione del patrimonio artistico minacciato dalla guerra. Strano nome, commentò lei, svagata. Lo devo a san Nilo, secondo la mia pia madre, al grande fiume, secondo mio padre, rispose Nilo, senza darsi troppa importanza. Mio padre desiderava esplorare le sorgenti del fiume, ma non ha mai viaggiato. Era solo un geografo. La donna già non gli prestava più attenzione: l’oscurità era troppo fitta perché potesse distinguere chi le stava parlando. Ma la chioma di Nilo scintillava – perché fra i ricci erano rimaste impigliate centinaia di minuscole schegge di vetro. L’espressione altera di lei gli rivelò la sua delusione: allampanato come un prete di El Greco, lenti spesse a velargli gli occhi. Un uomo gracile – e inutile, durante una guerra mondiale.
Solferina Zender, si presentò, asciutta. Nilo pensò che anche lei aveva un nome ben strano. Famiglia di patrioti risorgimentali, ovviamente. Devo raggiungere l’ospedaletto 066, aggiunse con orgoglio, presumendo lui sapesse a cosa corrispondeva quel numero. Non ho servitù al seguito, perché il regolamento della cri lo vieta. Sono pronta all’estremo sacrificio. Ma sinceramente non sono abituata a portarmi i bagagli.
Mio padre voleva che entrassi in banca, rise Nilo, afferrando il manico del baule (che tuttavia neppure si mosse), diceva: con l’arte non si mangia, finirai a fare il facchino…
Vi prometto che non glielo dirò, professore, disse la Zender. Fanatica, forse, ma non dipinta, dopotutto, e con un sorriso malizioso di arguzia e ironia. Doti che non gli era mai capitato di incontrare in una donna.