Tunisia: fiamme sotto la cenere
A un mese e mezzo dai moti di piazza crisi economica e disoccupazione si aggravano e sempre più migranti sono in partenza per l'Italia. La situazione politica nel Paese è più che mai in bilico e gli islamisti cavalcano il malcontento. Obiettivo: destituire l'attuale presidente.
Gli islamisti tenteranno il colpo grosso in Tunisia. Vogliono riprendersi il potere a qualsiasi costo. Specie dopo che lo scorso 25 luglio il presidente in carica, il laico Kais Saied, ha sospeso i lavori del Parlamento dove sedevano numerosi esponenti di Ennahda, diretta emanazione della Fratellanza musulmana, che rappresenta la maggioranza politica in opposizione ai secolaristi di Nidaa Tounes.
Che cosa riserva dunque il futuro a questo Paese? Gli osservatori internazionali guardano con crescente preoccupazione l'evolvere della prima grande crisi istituzionale tunisina. Ciò che più conta, infatti, sono le circostanze in cui avviene: con la situazione economica precipitata sensibilmente durante la pandemia, e il parallelo aumento della disoccupazione - che viaggia sul 18% - rivolte e proteste dilagano ormai in molte città. Questo potrebbe convincere gli islamisti a cavalcare la protesta e imprimere un'accelerazione al loro piano di destituzione del presidente Saied.
La Tunisia ha sborsato oltre un miliardo di dollari di debiti quest'estate attingendo dalle riserve in valuta estera, ma deve ancora trovare altri 5 miliardi per finanziare il suo previsto deficit di bilancio e ottenere più rimborsi dei prestiti. Un piano di ripresa è stato già delineato dal Fondo monetario internazionale, e al momento rappresenta l'unica chance di Tunisi per uscire da una crisi economica che ha visto ridursi le sue entrate dell'8%, con un deficit che viaggia all'11,5 e un debito pubblico pari all'87% del Prodotto interno lordo.
Una sua mancata concretizzazione potrebbe dunque rivelarsi fatale, nonché favorire ingerenze straniere (leggi Turchia e Cina). Oltre al fatto che ciò andrebbe ad agitare ulteriormente le acque del Mediterraneo: non è un caso se dei 49.280 immigrati economici sbarcati negli ultimi 12 mesi ben il 35,9% (ovvero più di 17.600 persone) proviene proprio dalla Tunisia. Senza contare che la nazione registra il più alto tasso di mortalità dell'intera Africa, con 150 decessi giornalieri e un misero 12% di popolazione vaccinata.
Quando il popolo scese in piazza in Egitto contro i Fratelli musulmani per chiedere pane e lavoro, i militari destituirono il presidente islamista Mohammed Morsi - era il 3 luglio 2013 – e inaugurarono un nuovo corso tutt'altro che democratico per le istituzioni egiziane, riscrivendo la costituzione in senso autoritario e accentrandone i poteri in mano al presidente (Al-Sisi potrà così restare in carica almeno fino al 2030).
In Tunisia la storia è assai diversa, e la casta militare non è lontanamente paragonabile a quella egiziana. Il presidente Saied gode ancora del rispetto del popolo laico che lo ha voluto al vertice delle istituzioni dopo il filo-occidentale Beji Caid Essebsi. Inoltre, né il potente sindacato generale tunisino (Ugtt) né altri gruppi di interesse della società civile si sono finora opposti all'iter da lui seguito.
«Tutti gli studi e le indagini sociologiche dimostrano che il peso della Fratellanza, reale nel 2011, non è più così influente oggi. Questo perché al potere hanno portato solo corruzione, incompetenza, doppiezza, tradimento e compromesso con le reti terroristiche» tuona Mezri Haddad, filosofo e diplomatico tunisino. «Ecco perché i Fratelli musulmani sono odiati dalla grande maggioranza dell'opinione pubblica. Solo alcuni Paesi occidentali ancora li rispettano. Un esempio? Dall'elezione di Saied, agli islamisti restano 52 seggi in Parlamento su 217. Eppure hanno un'influenza decisiva nel funzionamento dello Stato attraverso l'alleanza e il compromesso di partiti parassitari come Al-Karama, Kalb Tounès di Nabil Karoui e altri. Una delle misure urgenti da prendere sarebbe la messa al bando di tutti questi partiti-parassiti, il cui finanziamento è di tipo mafioso o proviene da fonti straniere».
Il partito islamista Ennahda, per il momento, ha chiesto ai suoi sostenitori di evitare ogni escalation nelle strade, in linea con il suo approccio politico pragmatico degli ultimi anni, in cui ha cercato di evitare scontri proprio perché consapevole di quanto accaduto ai Fratelli musulmani in Egitto.
Ma Haddad resta scettico: «Il pericolo che si rafforzino le frange estremiste è molto probabile. Ennahda, la propaggine ideologica dei Fratelli musulmani, non solo ha infettato le istituzioni dello Stato, ma dispone di cellule terroristiche dormienti che stanno solo aspettando un segnale per entrare in azione. Contingenti di jihadisti tunisini e stranieri stazionano da tempo alle nostre frontiere con la Libia. È un cocktail esplosivo, con conseguenze immediate anche in termini di sicurezza e migrazione verso il Nord Europa».
Dopo l'incertezza delle ultime elezioni, l'incapacità delle forze politiche nel creare una coalizione di governo ha aperto la strada a un esecutivo tecnico inviso al presidente. Da qui la decisione del colpo di mano di luglio, prorogato più per prudenza che non per consentirgli di risolvere la crisi. Gli islamisti stanno così montando la rivolta: accusano il presidente di aver preso pieni poteri in conflitto con la Costituzione. In realtà, l'articolo 80 gli consente di accentrare a sé il potere in casi eccezionali, ma la mossa potrebbe comunque non essere del tutto legale senza un organo dirimente quale la Corte costituzionale. Che non è mai stata istituita per dissapori tra i partiti. Chi vigilerà dunque sulla Costituzione e sui poteri del presidente?
Risponde così Haddad, la cui sentenza è al curaro: «Quello che sta accadendo in Tunisia non è un colpo di Stato ma una rivolta repubblicana. Quello che è successo era prevedibile: il popolo tunisino, disincantato da un'impostura rivoluzionaria e da dieci anni d'incompetenza e corruzione, ha manifestato in massa perché stremato da disoccupazione e insicurezza dilaganti. A quel punto, il presidente della Repubblica aveva solo due scelte: o soffocare un movimento di rabbia sociale o prenderlo in considerazione e diventarne la figura emblematica. Ha optato per la seconda scelta, ma deve portare il processo fino in fondo».
E qui Haddad non usa mezzi termini: «Occorre "il colpo di grazia", ordinando lo scioglimento del Parlamento e di tutti i partiti-parassiti, per procedere quindi alla riforma della Costituzione. Accontentarsi di dare un "avvertimento", risparmiando i partiti politici responsabili della situazione attuale e perpetuando il mito ingannevole della rivoluzione, porterà solo a terribili ripercussioni sociali, economiche e di sicurezza. La Tunisia di oggi rischia ancora più che negli ultimi dieci anni. Ed è un problema per tutti».