Una ricerca lunga 40 anni: il fronte di Russia raccontato in trentamila cartoline e lettere dei soldati
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foto da Quotidiani locali
UDINE. Lo conserva gelosamente in raccoglitori di buste trasparenti e scatole di scarpe. E ne parla quasi con pudore: svelare quel patrimonio storico ed emotivo di circa 30 mila “pezzi” di corrispondenza di guerra dal fronte russo tra cartoline e lettere è come mettere a nudo una parte di sè.
Andrea Miani, 54 anni, di Buttrio, dipendente dell’azienda Maico, però, storce il naso quando lo chiamano collezionista: «È una raccolta di testimonianze cartacee dei soldati italiani circolata dal luglio del 1941 al maggio del 1943, una raccolta iniziata quando avevo 14 anni. Fino a che potrò continuerò ad arricchirla».
Pezzi di memoria, ritagli di vita vera, tra viaggi su tradotte, terre inesplorate, camerati che non sono più tornati. «Nessuno dei miei parenti ha vissuto quel periodo. L’ho scoperto solo quando ho ascoltato la storia del nipote della contessa Alda Vanni degli Onesti, che viveva nel borgo dove sono nato, Ronchiettis di Santa Maria La Longa. Questo giovane aveva partecipato alla ritirata di Russia, ma nessuno voleva raccontare ciò che era effettivamente accaduto – afferma –. Così ho deciso di approfondire».
La raccolta è il risultato di ritrovamenti, incontri casuali e acquisti ai mercatini. Poi ci hanno pensato i familiari dei caduti e dispersi e i reduci ad accrescere la mole di materiale. «Una parte degli scritti è esposta nel Sacrario di Cargnacco dove proprio stamattina si celebra la giornata del Caduto e disperso in Russia: in molti, scoperta questa mia passione, hanno scelto di lasciarmi in custodia i ricordi dei loro parenti – aggiunge Andrea e squaderna un diario a righe –. Questo – un resoconto quotidiano di quei giorni – è del generale dell’Ottava armata Italo Gariboldi. È stato suo figlio Mario a donarmelo, nei primi anni Novanta. Lo tengo come una reliquia».
Si passa a una lettera. L’originale, in quattro facciate, ha al massimo tre correzioni, la calligrafia è curata ed elegante. È datata 21 agosto 1942. Un ufficiale, su un treno in transito nel territorio dell’ex Polonia descrive paesaggio e sensazioni: «C’è tanta tanta tristezza negli uomini e nelle cose, tutto ha l’aspetto di una cosa derelitta, colpita da una grande sventura che solo i secoli potranno sanare… È strano questo viaggio, si svolge in un’atmosfera cosi tranquilla cordiale e serena che non sembra di andare verso la guerra ma di fare un viaggio da turisti». Andrea puntualizza: «I testi svelano la cultura di chi scrive: l’ufficiale ha studiato e usa correttamente la grammatica e il lessico, il soldato, invece, mandava messaggi molto scarni e di semplici saluti».
Il materiale sembra infinito. In una cartolina postale delle Forze armate («Venivano distribuite ogni giorno ai soldati per rimanere in contatto con i propri cari») del 7 maggio 1943 il mittente, nello spazio destinato al destinatario, scrive: «Al Tenente di cui non ricordo più il nome». C’è quindi una via e una breve spiegazione. Chi invia la cartolina è una sorta di intermediario, un soldato che porta il messaggio di un ufficiale rimasto prigioniero in Russia che, non sopportando più la grande fatica, si era fermato «in una casa al caldo» e aveva chiesto a qualcuno dei presenti di avvertire i familiari: «Mi rivolgo con la speranza di poter esaudire un suo volere. Spero con questo di toglier un peso pesante dalla testa degli interessati. Statene certi che lui tornerà sicuramente…». Quell’uomo, invece, non tornò più a Udine.
Il finale è per le cartoline più curiose, stampate dalla divisione Pasubio sulle rive del fiume Dnepr: «I soldati italiani della colonna Chiaromonti nel 1941 – conclude Andrea – rimasti senza cartoline, sono entrati in una tipografia, hanno recuperato i caratteri cirillici e se le sono stampate da soli».