Alberto Leonardis e la scommessa sulla carta
E se fosse arrivato il momento che i giornali li faccia chi li ama, o quantomeno chi sa come funzionano? Poi, certo, possedere una gazzetta, come una squadra di calcio, serve sempre a conoscere tanta bella gente, entrare in contatto con i politici, farsi rispettare dalle banche, pontificare ai convegni e in televisione.
Il problema è non perderci troppi soldi, al netto della messe di contributi pubblici che si prendono tutti gli editori (non quello di Panorama e La Verità, che camminano sulle proprie gambe). Ma forse, semplicemente, il problema del quotidiano di carta nell’era internettiana non è solo di metterci dentro delle notizie (compito che spetterebbe ai giornalisti), ma anche metterci un po’ di testa e cuore: come sta provando a fare Alberto Leonardis, 56 anni, ex editore de Il Centro abruzzese, manager e imprenditore aquilano che con un gruppo di soci, giusto un anno fa, ha rilevato dalla Gedi degli Agnelli-Elkann Il Tirreno di Livorno, La Gazzetta di Modena, La Gazzetta di Reggio e La Nuova Ferrara. Giornali che sta tentando di rilanciare sotto il cappello di una nuova holding dal nome ambizioso Sae, che sta per Sapere aude editore.
Negli ultimi trent’anni, i giornali italiani si sono distinti per bilanci rigorosamente in perdita, economie di scala selvagge, di solito a spese dei contribuenti, e un’inevitabile emorragia di copie vendute e di credibilità. Solo un umanista visionario come Leonardis, laureato in pedagogia e cresciuto facendo la rassegna stampa della scuola Telecom Guglielmo Reiss Remoli dell’Aquila, poteva appassionarsi alle quattro testate tosco-emiliane, che con 45 mila copie cartacee vendute (dati Ads settembre 2021) rappresentano il cuore della vecchia Finegil, la conglomerata dei giornali locali del (fu) gruppo Espresso-Repubblica creata da un editore vero e appassionato come Carlo Caracciolo; il quale al pari del cognato Gianni Agnelli aveva capito che disprezzare apertamente i propri giornalisti alla lunga incide sul prodotto.
Se oggi si apre il sito internet della Sae spa, si scopre che «Il Biondo», com’è chiamato Leonardis in Abruzzo, intende «dare voce e sostegno alla comunità, raccontando con la cronaca i fatti e portando avanti, anche tramite inchieste, la lotta ai privilegi». Un vasto programma, come rispose il generale Charles de Gaulle a un contestatore che gli chiedeva di eliminare gl’imbecilli. A fine novembre, Leonardis si è caricato sulle spalle anche La Nuova Sardegna, 130 anni di storia, e 25 mila copie vendute al giorno. Un segno di speranza, questa acquisizione, anche per i dipendenti e collaboratori dei primi quattro giornali comprati, che negli ultimi mesi hanno scioperato più volte contro i tagli di personale annunciati da Sae.
Del resto Leonardis, il cui socio principale è il costruttore toscano Maurizio Berrighi, è quello che oggi si direbbe un personaggio altamente inclusivo. O se si vuole, un uomo di relazioni. Figlio dello scomparso Giovanni Leonardis, grande anestesista e pioniere della terapia del dolore al quale ha dedicato la Fondazione Isal, non è quindi portato alle ristrutturazioni «lacrime e sangue».
Il suo curriculum manageriale vanta esperienze con Telecom, Microsoft Italia, Oracle Italia, Siemens Medical Solutions e Poste. Insieme a un imprenditore della sanità abruzzese e a un distributore di giornali, cinque anni fa è stato editore del Centro, ma se n’è andato rapidamente. Forse anche scottato da una certa carenza di «umanesimo» dei compagni di cordata. Leonardis è stato anche proprietario del Corriere delle Comunicazioni e socio dell’agenzia stampa Dire, area centrosinistra, oggi sconvolta dall’arresto del suo editore Federico Bianchi di Castelbianco nell’inchiesta sugli appalti del Miur.
Nel 1995, da giovane manager Telecom laureato in pedagogia, Leonardis mette su i Comitati per Prodi in Abruzzo; e nel corso degli anni ha saputo portare avanti rapporti solidi con tutti i leader del Pd della sua regione, a cominciare da Giovanni Lolli, Stefania Pezzopane e dal trasversalissimo avvocato Giovanni Legnini, suo grande sponsor ed ex vicepresidente del Csm. Tra il 2016 e il 2018, ha anche lavorato come consulente per lo sbarco in Abruzzo di un colosso cinese come Zte (5G) e degli industriali della municipalità di Zibo.
Probabilmente, il tramonto del governo giallorosso, così accogliente nei confronti dell’espansionismo di Pechino e della sua «Nuova Via della seta», ha consigliato al tessitore aquilano di concentrarsi sull’amore per i giornali e di mollare i cinesi. Ai quali, per altro, avrebbe forse potuto illustrare i benefici per la collettività della libertà di stampa.
A marzo del 2019, Leonardis ha spiegato che «la politica deve riscoprire il valore del giornale cartaceo quale unico baluardo di contrasto alla disinformazione online» e questo rappresenta «più che un traguardo dell’editoria classica, un punto di partenza verso la verità» (intervista al periodico Abruzzo Economia). Nel frattempo, Leonardis non solo ha capito che i giornali locali sono diventati un peso per chi, come gli Agnelli-Elkann, è in fuga tra Parigi e Amsterdam e ha interessi ormai orientati su lusso, tecnologia e finanza pura, ma ha anche compreso che sono diventati un problema per le banche creditrici.
Altro mondo che conosce bene, avendo fatto parte per molti anni del comitato territoriale per il Centro Sud di Banco Bpm, e avendo ottimi rapporti con la vecchia Popolare di Bari, con il Monte dei Paschi di Siena e con Bper Banca.
Ora, con cinque belle testate in portafoglio e competenze approfondite, Il Biondo può decidere se essere il Brunello Cucinelli dei giornali locali o l’ennesimo spazzino delle macerie di casa Agnelli.