Serra: «A Carpi il nostro Macbettu che vive nella Barbagia»
CARPI. Osannato dal pubblico e dalla critica, arriva domenica 12 alle ore 16 al Teatro Comunale di Carpi il “Macbettu” di Alessandro Serra, versione sarda del “Macbeth” di Shakespeare. Allestito nel 2016, acclamato anche all’estero e vincitore del Premio “Ubu 2017”, l’allestimento ricostruisce la tragedia di Scozia a partire dalle immagini potenti e arcaiche e dalle sonorità intriganti della Sardegna: ambientato in un’immaginaria Barbagia e recitato in dialetto (con sottotitoli in Italiano), è interpretato da soli uomini, secondo la tradizione elisabettiana del tempo di Shakespeare. Come l’originale, offre una riflessione appassionata sull’ambizione umana e sull’ingordigia di potere: «Un pezzo di grande teatro – afferma Serra – uno spettacolo ipnotico che lavora con corpi, materiali e ritmi per raccontare una storia primordiale e attuale al tempo stesso». (biglietti su Vivatickets).
Alessandro Serra come le venne l’idea di un Macbeth in versione sarda?
«Il progetto di scrittura di scena nascque a seguito di un reportage fotografico nei carnevali della Barbagia, un’area nell’entroterra sardo. In quei giorni gli uomini indossano la maschera, danzano, cantano, incarnano presenze in una relazione privilegiata con Dioniso. Mi sembrava semplicemente giusto andare fino in fondo nella riscrittura dell'opera in questa direzione. Così ho provato dapprima a riscrivere il testo omettendo tutti i personaggi femminili, ad eccezione della Lady, e la storia non sembrava subire alcuna ferita».
Oltre alla bravura degli interpreti qual è la chiave del grande successo di questo spettacolo? "
«Macbettu" è un’opera d’arte popolare. Non commerciale ma popolare. Per intenderci Mozart è popolare, chiunque lo ha fischiettato almeno una volta nella vita, anche un muratore su un’impalcatura. Il Macbeth no, ma chi lo vede non ne può non rimanere colpito perché parla all'umanità dell'umanità. Credo che il teatro si possa definire grande quando riesce a parlare a tutti, che non significa piacere a tutti. Anzi capita spesso che quando un’opera ci porge davvero lo specchio, per dirla con Amleto, può accadere che la reazione sia un rifiuto o una certa diffidenza. Del resto questo è anche il segreto della grande tradizione ritrattistica: la Gioconda ci seduce e ci ripugna al contempo e se chiedessimo alle migliaia di persone che si affollano ogni giorno per vederla al Louvre (non vedendola mai peraltro), ebbene qualcuno sono certo confesserebbe che è piuttosto brutta. Questo contraddittorio è in Leonardo ed è in Shakespeare, che come scrive Ted Hughes ha anche un altro segreto: la congiunzione “e”, che lega parole difficili e poetiche che possono cogliere persone colte e raffinate a parole semplici alla portata di un pubblico meno istruito e popolare».
Perché la scelta di portare sul palco solo interpreti maschili, ricalcando quindi le regole del teatro elisabettiano?
«Mi sembrava semplicemente giusto andare fino in fondo nella riscrittura dell’opera. Tutte le donne sono riassunte in un’unica dea madre reggitrice di morte: Lady Macbeth. Più alta e più forte degli uomini, emblema della forza generatrice e del potere femminile».
L'aspetto che secondo lei è maggiormente attuale del suo "Macbettu"?
«L’incapacità di vivere il presente, un’inabilità che ci porta ad agire ciecamente proiettati in avanti, ignari di essere artefici di un’ipoteca su un futuro nero e insostenibile. Del resto viviamo in una società accelerata, che va di corsa e che non è spiritualmente pronta ad accogliere una tecnologia che forse ci renderà immortali ma ci sta già consumando l’anima. Non siamo pronti ad accettare questo scorrere del tempo, vogliamo possederlo con le tecnologie (che in pratica lo allungano) ma di fatto ne siamo divorati. Quanto a noi, così come non siamo capaci di sostenere un tempo che va troppo veloce, non riusciamo neanche a confrontarci totalmente con questa realtà più profonda e trascendente perché, come dice Simone Weil, quando il sovrannaturale entra in un essere che non ha sufficiente amore per riceverlo, diventa un male. Le streghe che predicono a Macbeth un futuro di gloria, sono foriere di prosperità, ma Macbeth non sa aspettare e di conseguenza uccide il re. Non c’è alcun motivo per cui debba compiere questo atto orrendo e inutile e Macbeth ne è perfettamente consapevole eppure cede».