L'Iva sul terzo settore è una scure per il volontariato. I circoli toscani: «Una tassa sulla bontà, così spariremo»
FIRENZE. Dopo aver fatto lanciare l’allarme al volontariato, la riforma dell’Iva si abbatte sui circoli Arci. Potrebbero sparirne decine dei 1. 150 (con 160. 000 soci) attivi in Toscana. Alle prese con scontrini da battere, fatture, registratori di cassa e commercialisti, sono a rischio chiusura quelli dei piccoli paesi, sulle colline, nelle frazioni montane, aperti a giorni alterni e a orari stabiliti, unico punto di ritrovo della borgata. Dove i bimbi fanno i compiti insieme e gli anziani giocano a carte. Già stremate dalla pandemia, adesso le case del popolo rischiano di venir cancellate dal decreto fiscale collegato alla manovra. «L’introduzione dell’Iva non sarebbe sostenibile, l’imposta avrebbe un importo maggiore dei pochi incassi che servono ai volontari per pagare le bollette – afferma Silvia Bini, presidente Arci della provincia di Pistoia, dove di circoli ce ne sono 110 – il nostro sistema solidaristico, con le strutture più grandi che sostengono i centri piccoli, non reggerebbe, salterebbero gli equilibri».
LA PROTESTA
«Stiamo facendo pressioni sulla politica per rimuovere l’articolo del decreto fiscale che introduce il regime di esenzione Iva per le organizzazioni no profit che fanno attività commerciale – spiega Gianluca Mengozzi, presidente regionale Arci e portavoce toscano del Forum del terzo settore – se la cosa non si risolvesse in Parlamento, siamo pronti a scendere in piazza, anche se è un tipo di protesta che non ci appartiene». Aggiunge: «Mi meraviglio poi che l’emendamento che ci condanna lo abbia presentato il senatore toscano della Lega Alberto Bagnai, che probabilmente non è mai stato un volontario e non conosce il mondo dell’associazionismo della sua regione, forse il più importante d’Italia. Noi non facciamo impresa ma aiutiamo gli altri, siamo da considerare fuori dal mercato e per questo esclusi dal pagamento dell’Iva».
LO SPORT A RISCHIO
Proprio il Forum del terzo settore (che rappresenta circa 10.000 associazioni, la metà di quelle presenti in Toscana) ha lanciato l’allarme: sono 5.000 le onlus toscane a rischio sopravvivenza dal passaggio da un regime di esclusione a uno di esenzione dell’Iva. Non tutte hanno le capacità e la forza economica per tenere la contabilità e aprire una partita Iva, oneri e burocrazia compresi. Come per il mondo Arci, la misura in discussione (già approvata dal Senato e in attesa del voto alla Camera) sarebbe una mazzata per i circoli Acli e Mcl (700 realtà e oltre 120.000 soci in totale), per l’associazionismo sportivo (Uisp, Acsi, Aics) costretto a pagare l’Iva sui rimborsi che gli iscritti pagano per partecipare alle attività proposte in palestra o sui campi di calcio. Penalizzati sarebbero inoltre gli oratori dell’Anspi, i gruppi scout dell’Agesci, le iniziative dell’Endas: in pratica tutte le sigle di promozione sociale che gestiscono luoghi collettivi con annessi bar per soli soci.
SAGRE PIÙ CARE
E poi ci sono le feste paesane, quelle organizzate dalle Pro Loco e da altre associazioni culturali per raccogliere denaro da spendere nel piccolo borgo, per sistemare due panchine o allestire l’albero di Natale in piazza. L’applicazione dell’Iva farebbe una selezione: alcune sagre aumenterebbero i prezzi (già adesso non sono contenuti come un tempo), altre verrebbero cancellate dal calendario. «Da quello che sappiamo oggi ci vorrà un commercialista per gestire la contabilità, e poi se dovremo applicare l’Iva vorrà dire che quattro salsicce le faremo pagare 6,50 euro, anziché 4 euro», dicono dalla Pro Loco di Marliana, sulla Montagna Pistoiese.
TASSA SULLA BONTÀ
Il quadro è critico anche per le associazioni di puro volontariato, le onlus che fanno beneficenza e operano per solidarietà, con raccolte fondi e donazioni. In questo caso l’Iva sarebbe una tassa sulla bontà, come l’ha definita il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Inutile dire che sarebbe un duro colpo che non meritiamo, una cosa insensata – sostiene Mauro Barsi, presidente dell’associazione fiorentina Agata Smeralda, attiva nelle adozioni a distanza e nelle emergenze che coinvolgono i minori – la stragrande maggioranza delle onlus come la nostra è gestita da persone che operano gratuitamente. Noi facciamo spese solidali e raccolte fondi. Con l’introduzione dell’Iva a rimetterci sarebbero i poveri e i bisognosi».
«Noi non svolgiamo alcuna attività commerciale, ma riceviamo contributi anche pubblici sui quali emettiamo fatture – dice Manlio Matera dell’Associazione italiana malati di alzheimer (Aima) – se dovessimo pagarci l’Iva è chiaro che entrerebbe meno denaro per sostenere le nostre attività, che si ridurrebbero. Credo però che debba essere fatta una distinzione tra le organizzazioni no profit e le cooperative sociali, che vincono bandi pubblici per occuparsi di determinati servizi. Anche se non possono fare utili e sono a fini sociali, hanno dipendenti e ricevono un corrispettivo».
L’appello al Governo: «Penso che la questione dell’Iva sul terzo settore sia oggi secondaria – aggiunge Matera – invito a introdurre misure che invece di allargare la platea dei contribuenti, facciano pagare l’Iva a chi spetta. Sarebbe un bel modo per combattere l’evasione».
© RIPRODUZIONE RISERVATA