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Декабрь
2021

Defunto da anni, viene condannato e ora la Giustizia lo vuole in carcere

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FIRENZE. È morto da più di due anni ma la giustizia italiana, dopo averlo condannato quando non era più tra i vivi già da alcuni mesi, adesso vuole anche metterlo in carcere. La storia ha per protagonista un uomo vissuto a Sesto Fiorentino in provincia di Firenze, deceduto a 53 anni nel maggio del 2019. Sanno della sua dipartita i suoi familiari, com'è ovvio, lo sanno i colleghi di lavoro, i vicini di casa, persino il suo avvocato. Ma non l'inesorabile macchina della giustizia, per la quale è semplicemente irreperibile. Nel novembre del 2019, quando già non c'era più, è stato condannato in appello per peculato. In questi giorni, dopo due anni, il suo difensore si è visto notificare un ordine di esecuzione pena diventata nel frattempo definitiva. Nel documento si dà la possibilità al condannato di chiedere entro venti giorni una pena alternativa, come i domiciliari. Ma nella sua condizione è difficile che potrà chiedere alcunché. E così per lui, venuto a mancare da oltre due anni e mezzo, si apriranno le porte del carcere.

Una storia paradossale che inizia nel 2010. All'epoca l'uomo, che si manteneva facendo il custode di alcuni campi di calcio, viene indagato dalla procura di Firenze, pm Luca Turco, per peculato. In qualità di amministratore di fatto di un'agenzia di pratiche auto, recita l'accusa, avrebbe trattenuto i soldi dei bolli che invece andavano versati all'Aci. Nel 2012 viene ritenuto colpevole e condannato in primo grado a un anno e quattro mesi, in un processo celebrato con rito abbreviato. La procura fa appello contro la condanna, ritenuta troppo esigua. Passano gli anni, sette per l'esattezza, e finalmente viene fissato il processo di secondo grado davanti alla corte di appello. Il difensore dell'uomo, avvocato Giovanni Marchese, cerca di mettersi in contatto col suo assistito, ma non lo trova. Il processo va avanti. A novembre si arriva al giorno della sentenza. Dell'imputato però nessuna traccia. L'avvocato Marchese continua a cercarlo, fino a che, poche ore prima che i giudici escano dalla camera di consiglio col verdetto, scopre la verità. Lo fa in modo quasi casuale, attraverso una conoscenza in comune. Il suo assistito non c'è più, è venuto a mancare prematuramente, all'età di 53 anni, nel maggio del 2019. Marchese si precipita in corte di appello, ma quando arriva è tardi. I giudici hanno già letto la sentenza e perfino aumentato la pena, portandola a due anni e due mesi di reclusione. «La morte del reo estingue il reato» recita il codice penale.

Ma in questo caso non è andata così. La condanna a questo punto, essendo stata già pronunciata, non poteva essere modificata o annullata. «Dissi ai giudici che era morto - ricorda Marchese - ma non potevano scriverlo nella sentenza, il rimedio era scriverlo in un foglietto da allegare alla sentenza, che forse è andato perduto». E così la macchina della giustizia è andata avanti. In questi giorni l'ufficio esecuzioni penali della procura generale ha notificato al difensore l'ordine di esecuzione pena. Nel documento viene anche precisato che il condannato ha diritto a chiedere misure alternative alla detenzione, e che se non lo farà per lui, morto per tutti ma solo irreperibile per la giustizia, si apriranno le porte del carcere. Tutto insomma come se il decesso non ci fosse mai stato. «Non ha sbagliato nessuno - sottolinea Marchese - , il vero problema è che non funziona nulla».




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