Corneliani Mantova, parla l’ad Giorgio Brandazza: «Partiti bene, in 5 anni torniamo grandi»
MANTOVA. L’obiettivo «ambizioso ma fattibile» è di tornare grandi in cinque anni, il rimbalzo è già iniziato e con lui il cambio di stile verso linee più casual, nuove strategie di marketing e vendita, lasciandosi alle spalle per sempre le liti tra soci: intervista a 360 gradi su nuova e vecchia Corneliani con l’amministratore delegato Giorgio Brandazza.
Lei è nel cda di Corneliani spa con lo Stato socio al 49% per 5 anni: ora si lavora in un’unica direzione senza più i conflitti tra soci della “vecchia” Corneliani?
«Oggi ci sono due soci con interessi per certi versi diversi ma convergenti perché tutti hanno interesse che Corneliani torni a essere quella che era. Entrambi vogliono vedere la società ristrutturata, che cresce, che guadagna, con un marchio sul mercato che torni ad avere la performance che aveva. Tutti quanti cerchiamo di allinearci, c’è grande informazione, il socio Invitalia è stato qui, ha visto la fabbrica, siamo entrati nell’operatività».
Quali obiettivi di sviluppo vi siete dati?
«Abbiamo condiviso un piano prudente, ma l’ambizione è di tornare lì dove eravamo, ovvero a un fatturato pre-crisi di 100 milioni in cinque anni. Siamo partiti bene, i primi segnali sono positivi, l’obiettivo è ambizioso ma perseguibile. Poi dobbiamo far bene e ci deve aiutare un po’ il mercato perché la pandemia è sempre dietro l’angolo».
Partiti bene in che senso?
«Le prevendite della prossima collezione primavera-estate hanno registrato un 30% in più rispetto all’anno passato. Abbiamo avuto un rimbalzo prima di quello che ci aspettavamo. E ricordo che in questo slalom tra continuità e procedura, la nostra collezione estate è uscita due mesi dopo la concorrenza: avendo avuto il via libera il 23 marzo, siamo riusciti a essere operativi dalla seconda metà di luglio. I segnali dell’inverno sono altrettanto positivi con la precollezione del 2022 che è sul mercato e per noi significa essere tornati a prendere il passo giusto».
Quali le azioni per il rilancio? Quale il cliente target e come cambierà lo stile?
«Il target non cambia, il riferimento è sempre dai 40 anni in su. Ma è un target che oggi confina il formale in determinate occasioni per il su misura o il cerimonia e meno nel day by day, nell’abbigliamento business. Il cliente a cui ci rivolgiamo è sempre lo stesso, ma ha cambiato modo di vestirsi e il mercato ci sta portando più sul casual: la Corneliani estiva è già quasi al 50% non formale e per l’inverno questo trend si sta accentuando. La parte abito-giacca per tenere quote di mercato importanti deve essere distante dallo stile di qualche lustro fa, puntando più su abiti decostruiti. Il tayloring è diverso e non è nel formale di una volta che si costruisce lo sviluppo dell’azienda. Per lo stile stiamo finalizzando un progetto dove andiamo anche a cercare dei contenuti di stile. Intanto in questo periodo tormentato siamo riusciti a costruire la capsule total look Circle con linee più giovani, un contenuto di gusto e di sostenibilità con tessuti certificati. Questo ha aiutato la vendita e ha dato lustro alla società. Anche in un momento non semplice non ci siamo limitati a sopravvivere ma abbiamo cercato di dare la sensazione di un’azienda vitale, aperta all’innovazione. È un progetto che ha funzionato e funziona».
Anche il marketing sta cambiando? Abbiamo visto video narrazioni sui social...
«L’idea è di fare investimenti mirati per dare messaggi coerenti e di vitalità della società con un team dedicato per la produzione dei contenuti all’interno del marketing».
E la rete vendita dopo la chiusura dei monomarca?
«Stiamo rifacendo il sito sia dal punto di vista estetico sia per la piattaforma operativa dell’e-commerce che cambia tecnologia e avrà due funzioni: e-commerce tradizionale e un’area B2b di servizio al trade. Per i negozi restano gli outlet, c’è lo showroom di via Durini a Milano che è diventata la casa di Corneliani per il mercato, lì vengono i clienti più importanti e abbiamo ricavato una lounge per la vendita del “su misura”. Oggi il business sono poi i 700 negozi multibrand nostri clienti nel mondo, che sono rimasti anche nei momenti di difficoltà».
Cosa è cambiato per decidere di tenere anche Corneliani Usa non prevista nel ramo d’azienda ceduto?
«Corneliani Usa è una società 100% della Corneliani srl ed è il distributore dei prodotti Corneliani in Stati Uniti e Canada. Era una filiale commerciale molto pesante dal punto di vista della struttura, con perdite significative, che non si giustificava a fronte del volume d’affari che faceva. Quindi prudentemente abbiamo deciso all’inizio di metterla in liquidazione appoggiandoci negli Usa a un distributore terzo. Poi però abbiamo iniziato una ristrutturazione che è riuscita, la società è diventata profittevole e può essere tenuta con una modalità operativa completamente diversa».
Quanto tempo ci vorrà per tornare ad assumere?
«Sul fronte impiegati non abbiamo mai smesso di assumere perché c’è stata una riduzione di personale significativa con molti andati via nel momento della crisi volontariamente. Abbiamo fatto qualche assunzione mirata per alcune posizioni e lo stiamo ancora facendo. Per il personale operaio io mi auguro che ci sia spazio per farlo crescere».
Lei arriva in Corneliani a dicembre 2019 un mese dopo la prima dichiarazione di esuberi: la crisi qui era iniziata prima del Covid. Si è fatto un’idea di cosa avesse portato a quella situazione?
«I problemi che ho trovato erano il conflitto tra soci diventato più importante della società e i negozi perché il retail di prima fascia era concepito di comunicazione e non di business: grandi location, molta estetica e poco pratigmatismo».
Ora la famiglia esce definitivamente di scena...
«Le strade si sono divise con la srl che va sul percorso liquidatorio con i suoi organi sociali e la famiglia che di fatto non è parte della nuova avventura. È un cambiamento avvenuto in modo traumatico e non fisiologico come avviene di solito».
Gli interessamenti a Corneliani in questi due anni non sono mancati oltre a Boglione: ci racconta?
«Questo dossier ha visto tantissimi affacciarsi, era un momento difficile ma abbiamo sempre avuto un’opzione possibile. Ci sono stati anche personaggi più o meno scaltri attirati dal denaro pubblico. Quello di Boglione inizialmente ci sembrava un business che non avesse niente a che fare con noi, poi lui si è esposto in modo importante e ci abbiamo lavorato insieme ma alla fine anche lui si è reso conto della distanza presentando una proposta che di fatto metteva in liquidazione la società e non era più nello spirito giusto».
Alla fine non crede che la tenacia delle lavoratrici e dei lavoratori sia stata determinante per arrivare al risultato di oggi?
«Vorrei chiarire che io non sento di avere mai avuto un conflitto con i lavoratori, ho sempre cercatodi essere il più trasparente possibile e non mi sono mai sentito lontano dalle persone. So cosa vuol dire la Corneliani per Mantova, cosa vuol dire tanto lavoro femminile, famiglie che fanno fatica a cui la società, per salvarsi, non ha anticipato il trattamento di cassa e non è stata un’operazione a cuor leggero. Eravamo tutti sulla stessa barca. I lavoratori hanno fatto tutto e non voglio togliere un millimetro a quanto hanno fatto, ma è altrettanto vero che la società i 10 milioni del Mise se li è guadagnati così come la fiducia di Investcorp riuscendo con il Covid e i conflitti che c’erano a gestirsi autonomamente e facendo scelte coraggiose senza le quali oggi non saremmo qui».
Il metodo Corneliani può essere applicato anche ad altre realtà secondo lei?
«Secondo me sì. Devono esserci però tutti gli ingredienti a partire dal fatto, come ha sempre detto il ministro, che le aziende non devono essere decotte ma avere un dna. Come Corneliani».