I medici in prima linea contro il Covid a Trieste: «In corsia è un dramma: quanto dolore evitabile»
TRIESTE La luce in fondo al tunnel, in corsia, non si vede. Anzi, lo scenario appare ogni giorno più buio. «Drammatico», per usare le parole di Franco Cominotto, direttore del Pronto soccorso e della Medicina d’urgenza a Trieste, che mette in fila un paio di numeri che fotografano l’impatto della pandemia sugli ospedali: 300 ricoveri Covid in Pronto soccorso nel solo mese di novembre, contro i 200 di novembre 2020, 100 in più, a dimostrazione che a Trieste la quarta ondata, per le strutture sanitarie, è una morsa forse più terribile delle precedenti.
Nella città più contagiata d’Italia, la curva delle infezioni non accenna a scendere. Anzi, per il primario del 118 Alberto Peratoner «negli ultimi due, tre giorni, la situazione è addirittura peggiorata. Per riuscire a fronteggiarla è stata aggiunta un’altra ambulanza: stiamo rispondendo a circa 20-30 interventi in più al giorno, in buona parte per Covid. Il dato ci preoccupa e dimostra che la situazione non è affatto in via di miglioramento: il virus circola molto e troppe persone ancora non sono vaccinate. Magari hanno seguito a casa terapie alternative assolutamente sconsigliate, bombardandosi di vitamina d, cortisone o ivermectina, mal consigliate da qualche medico o ispirate da internet. Di solito hanno attorno ai cinquant’anni, ma non mancano gli anziani. Anche se nelle ultime settimane c’è stata una ripresa delle prime dosi, rimane uno zoccolo duro di no vax convinti, con i quali c’è poco da discutere. A questo si aggiungono altri problemi, come quello del tracciamento: l’Azienda è sotto pressione, ci sono troppi contagiati e i tempi del tracciamento si dilatano fino a sette giorni, a volte di più, ed è evidente che qualcosa sfugga. Anche gli Usca sono sempre più sotto pressione – aggiunge il primario – e adesso arrivano anche a 90 interventi al giorno».
Quando il supporto dei medici Usca non basta, il malato Covid arriva in ospedale. «In questo momento ne abbiamo mediamente tra gli 8 e i 12 al giorno – spiega ancora il direttore del Pronto soccorso Franco Cominotto -. Va malissimo, perché i posti Covid sono saturi e spesso i malati di altre patologie che accogliamo restano qui per giorni, perché non trovano spazio in altri reparti: credo che in questo momento a Cattinara manchino tra i 60 e gli 80 posti letto. Sono prevalentemente pazienti internistici multipatologici anziani, con infezioni urinarie, febbre non da Covid, scompensi cardiaci e altre patologie. L’altra notte a Cattinara ne avevamo 80: per questi pazienti il rischio clinico è elevatissimo».
A questo problema, come spiega il medico, se ne aggiungono altri, come i focolai Covid nei vari reparti: «Se un paziente ricoverato si positivizza - evidenzia Cominotto - dovrebbe essere spostato in un reparto Covid, ma siccome i posti sono saturi, spesso rimane dov’è e va isolato, con un enorme sforzo organizzativo». Tra chi arriva in Pronto soccorso i non vaccinati prevalgono: «Mediamente 8 su 10 - commenta Cominotto -. Sono persone sofferenti, che vengono sottoposte a trattamenti respiratori aggressivi». Una volta curati, si pentono? «Non so più cosa dire, a questo punto cosa pensano quando escono non mi interessa - commenta con totale sconforto il medico -. Abbiamo detto tutto quello che potevamo».
Anche Umberto Lucangelo, direttore della Terapia intensiva di Cattinara, dove ieri erano ricoverate dieci persone, otto uomini e due donne, tra i 57 e i 75 anni, conferma il momento particolarmente difficile. «I numeri questa settimana sono leggermente più bassi delle precedenti, nelle quali avevamo mediamente 13 persone ricoverate - spiega - anche perché la Terapia intensiva aperta a Gorizia, con quattro letti, contribuisce ad alleggerire il peso sul nostro reparto, ma il quadre resta critico. Dall’inizio della quarta ondata, infatti, abbiamo curato 60 pazienti: in novembre i non vaccinati rappresentavano circa il 90 per cento, mentre oggi siamo scesi all’82 per cento, a dimostrazione del fatto che per i primi a vaccinarsi la copertura oggi è scesa ed è fondamentale spingere sui richiami».
L’età media di chi arriva in intensiva cambia: «per i non vaccinati è di 60 anni, mentre per i vaccinati va oltre i 70 - precisa Lucangelo - e quasi sempre tra questi ultimi ci sono persone fragili con altre patologie. Che una persona giovane, in salute e vaccinata arrivi qui è davvero un’ipotesi remota, ma di non vaccinati giovani, purtroppo, ne vediamo. Pochi giorni fa è deceduto un uomo di 46 anni. Vedere per settimane persone intubate soffrire così tanto, che hanno convintamente deciso di non vaccinarsi - continua il medico - è avvilente. È anche successo che alcuni pazienti, prima di essere intubati, ci abbiano chiesto di assicurare loro che non sarebbero stati vaccinati a loro insaputa: parole simili fanno capire purtroppo che c’è chi si preoccupa più di un’idea che della propria vita. Ma molti pazienti, quando escono, cambiano idea, si pentono. Se qualcuno non lo fa, lo rispetto allo stesso modo, anche se non lo capisco. Quello che sta succedendo forse dovrebbe far riflettere sulla necessità di una nuova alfabetizzazione scientifica».