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Декабрь
2021

Caporalato, 5 arresti nel Foggiano: coinvolta anche la moglie del direttore dipartimento Immigrazione del Viminale Di Bari che si dimette

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ROMA Il Capo Dipartimento per la Libertà Civile e l'Immigrazione del Ministero dell'Interno, Michele di Bari, già prefetto di Modena e Reggio Calabria, «ha rassegnato le proprie dimissioni». È quanto rende noto il Viminale a seguito dell'inchiesta della procura di Foggia in cui è indagata la moglie, Rosalba Livrerio Bisceglia, per caporalato. E il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, ha accettato le dimissioni.

Il prefetto Michele di Bari: “Mia moglie certa della sua estraneità”
«In relazione alle notizie di stampa, desidero precisare che sono dispiaciuto moltissimo per mia moglie che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità. Mia moglie, insieme a me, nutre completa fiducia nella magistratura ed è certa della sua totale estraneità ai fatti contestati». Così il prefetto Michele di Bari, che ha dato le dimissioni da capo Dipartimento Libertà civili ed immigrazione del ministero dell'Interno dopo la notizia dell'indagine della procura di Foggia che ha coinvolto sua moglie.

La moglie del prefetto è socio titolare in una delle 10 aziende coinvolte
La notizia del coinvolgimento della donna è trapelata oggi. La moglie di Michele di Bari, è tra le 16 persone indagate in un’inchiesta per caporalato dei Carabinieri e della procura di Foggia che ha portato all'arresto di cinque persone, due delle quali in carcere. I controlli sono stati fatti in dieci aziende agricole. Rosalba Livrerio Bisceglia, è socio titolare di un'azienda agricola di famiglia con sede legale a Foggia. Si tratta di una delle aziende coinvolte nell'inchiesta.

Le indagini
In carcere sono finiti due cittadini stranieri, un senegalese e un gambiano, mentre nei confronti degli altri tre arrestati da parte dei carabinieri sono stati disposti i domiciliari. Per gli altri 11 indagati, tra i quali appunto la moglie del prefetto Michele Di Bari, è scattato l'obbligo di firma. L'indagine, che ha interessato attività comprese tra luglio ed ottobre 2020, ha portato anche ad una verifica giudiziaria su oltre dieci aziende agricole riconducibili ad alcuni degli indagati. Stando agli inquirenti il volume d’affari delle aziende coinvolte nell’inchiesta erano di circa cinque milioni di euro.

Braccianti sfruttati
Dalle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Foggia è emerso che le persone coinvolte nel blitz avrebbero utilizzato come manodopera decine di lavoratori africani, per coltivare terreni agricoli di dieci aziende della Capitanata. Le condizioni erano di sfruttamento, approfittando anche del loro stato di bisogno, conseguenza delle condizioni di vita precarie, e dal fatto che vivevano in baracche e ruderi fatiscenti della baraccopoli dell’ “ex pista” di Borgo Mezzanone. Gli inquirenti avrebbero verificato che un cittadino gambiano di 33 anni, già coinvolto in una operazione contro il caporalato nei mesi scorsi, con l’aiuto di un senegalese di 32 anni, anch’egli domiciliato nell’ex pista, svolgeva il ruolo di “anello di congiunzione” tra i rappresentanti di dieci aziende agricole del territorio e i braccianti.

Il reclutamento dei braccianti
Alla richiesta di forza lavoro che veniva fatta dalle aziende, i due extracomunitari avrebbero reclutato i braccianti all’interno della baraccopoli, provvedendo al loro trasporto affinché raggiungessero i terreni. Gli stessi extracomunitari avrebbero sorvegliato i braccianti durante il lavoro, pretendendo da ognuno di loro 5 euro per il trasporto e altri 5 euro per aver trovato loro il lavoro. Nelle indagini è emerso che il gambiano si occupava anche di dare direttive ai braccianti sulle modalità di comportamento in caso di eventuali ispezione da parte dei carabinieri.

Caporali, titolari e soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato, definito dagli inquirenti «quasi perfetto», che andava dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento. Sempre dai controlli si è appurato che le buste paga non erano veritiere: erano state indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza considerare i riposi e le altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori non erano stati neanche sottoposti alla prevista visita medica.

La complessa e articolata attività di indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia, ha preso le mosse dalla diffusa situazione di illegalità radicata nelle campagne del foggiano, non indifferente ai Carabinieri che quotidianamente svolgono servizi di controllo del territorio in quell'area.




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