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Декабрь
2021

Scanzi sul palco a Broni: «Vi racconto cosa pensava Gaber. Oggi disprezzerebbe tutta la scena politica»

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Più che un artista, un maestro. Più che un cantautore, un profeta. C’è’ tanto di più in Giorgio Gaber di ciò che il pubblico medio conosce, tanto più da raccontare e da scoprire per capire fino in fondo la figura di un intellettuale come pochi ne ha conosciuti l’Italia, sempre fedele a sé stesso e mai disponibile a chinare il capo per venire a patti con il potere o con la società. Di lui, della sua opera meno popolare e della sua eredità ideologica parla domenica sera il giornalista Andrea Scanzi sul palco del Teatro Carbonetti di Broni nello spettacolo “E pensare che c’era Giorgio Gaber”, previsto in doppia replica alle 17 e alle 21 (biglietti sul sito www.teatrocarbonetti.it oppure in biglietteria venerdì dalle 17 alle 19 e sabato dalle 10 alle 12, info allo 0385.54691 o al 366.8190785).

Incentrato sul Gaber teatrale, quello che abbandonò la televisione per entrare nella storia insieme a Sandro Luporini, il monologo di Scanzi getta nuova luce su un personaggio di cui è nota al grande pubblico soltanto l’opera superficiale.

Nelle note di presentazione dello spettacolo si legge «il Gaber più forte, quello più geniale, è spesso quello che meno si conosce»: cioè?

«Quando pensiamo a Gaber, quasi tutti ricordiamo le canzoni, quelle divertenti tipo “Destra e sinistra” o “La libertà”. Testi provocatori ed ironici, certo, ma roba che lui scriveva quasi per svago, e che non sono affatto rappresentative della sua opera. Gaber non era un artista da canzonette, era un intellettuale direi quasi pasoliniano, che non aveva paura di essere verbalmente violento e che nel corso del tempo ha riservato critiche aspre a tutti. Il Gaber vero è quello che smise di registrare dischi e di apparire in tv per dedicarsi esclusivamente al teatro, raggiungendo il suo pubblico attraverso lo sferzante strumento del monologo».

Lei Gaber lo ha scoperto a 17 anni, e ancora oggi lo porta con sé sui palchi di tutta Italia. Perchè?

«Perché quella sera del settembre 1991, quando mio padre mi portò a Fiesole a vederlo, mi cambiò la vita. Letteralmente. Mi abbagliò non solo con le sue straordinarie doti di performer, ma anche e soprattutto con le sue parole. Quella sera fu l’inizio di un percorso proseguito poi all’Università (mi sono laureato con una tesi su Gaber) e con il mio lavoro di giornalista (che mi ha permesso di conoscerlo e di diventargli amico). La magia di quella prima volta me la porto ancora dentro, ed è per questo che continuo a raccontare di Gaber alle persone: perché spero che il suo messaggio possa stravolgerli come stravolse me».

Lei dice che Gaber era un grande intellettuale perché sapeva essere antisociale, ovvero per la sua capacità di criticare il mondo in cui viviamo. Cosa criticherebbe oggi?

«Rispondere con certezza questa domanda sarebbe presuntuoso, ma posso dire due cose. La prima è che molti suoi testi sembrano scritti oggi, e rimangono validi come allora. Penso a “Quando è moda è moda”, a “Qualcuno era comunista”, a “Mi fa male il mondo”: riascoltatele e rendetevi conto da soli di cosa penserebbe riguardo ciò che ci circonda. E la seconda è che Gaber era politicamente un uomo solo, che non riusciva a identificarsi con nessun partito e nessun politico. Penso che oggi sarebbe più solo che mai, e riserverebbe parole di fuoco a tutta (e dico proprio tutta) la scena politica italiana». —

serena simula




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