Nuova Mala del Brenta, i capi erano ossessionati dalle microspie: “Senza di noi Mestre rovinata”
VENEZIA. «Ha le ciaccole in macchina....». La «ceccola», la microspia in auto era la loro ossessione: sapevano di essere a rischio intercettazioni Boatto, Trabujo, Pattarello & Co. Così ogni tanto controllavano le auto.
Pensavano di essere più furbi degli investigatori: ma non è andata proprio così. Parlavano così tanto di bonifiche, che un giorno di febbraio del 2018 i carabinieri dei Ros – che li seguivano passo passo da tre anni – hanno smontato in fretta e furia i dispositivi installati a bordo di una Yaris utilizzata dal gruppo (prima di un’annunciata bonifica fai-da-te) per poi reinstallarli il giorno dopo. E da allora in poi, per evitare che venissero captati i segnali, gli investigatori decisero anche di scaricare i dati solo nottetempo, rinunciando all’ascolto in presa diretta. Un’altra volta è una multa per eccesso di velocità e la “smart box” imposta dall’assicurazione a far trovare per caso al meccanico le microspie dei carabinieri.
A marzo 2018, è Loris Trabujo a far controllare la sua Volvo XC90 dal meccanico di fiducia: che trova gli apparati, ma non il rilevatore Gps. E così lui continua ad usare l’auto, convinto di essere al sicuro: «Potrebbe essere questa una delle spiegazioni dell’uso, altrimenti incomprensibile dell’auto, in occasione dell’illecita consegna di armi da parte dell’imprenditore lagunare all’agrigentino Antonio Lo Manto, il 10 maggio, concordato a monte da Gilberto Boatto e dall’esponente mafioso Ignazio La Manto», scrivono i carabinieri del Ros in una delle note delle 1250 pagine dell’informativa che ricostruisce cinque anni di indagini. Il quadro delle accuse ora mosse dalla Procura alla “mala del Tronchetto”, alla banda dei vecchi “mestrini” legati al mondo di Maniero e dei nuovi ambiziosi pronti a farsi strada tra rapine, estorsioni, traffico di stupefacenti.
Guardie e ladri
Una lunga, paziente caccia, tecnologica: una rincorsa a guardia-e-ladri. «Li abbiamo tutti dietro, Loris, le microspie in casa ho trovato», dice allarmato Boatto a Trabujo nell’aprile 2018. «In casa, in macchina», risponde il delfino designato dall’anziano pregiudicato, «manca solo che me le mettano sulle scarpe!».
Il collegio
«Pensavano morissero in collegio..che tutta quella gente non tornasse a casa (....) e invece sono tornati a e sono peggio di prima». Così, sempre, Loris Trabujo sintetizza- intercettato - il ritorno sulla piazza degli ottantenni “mestrini” che con Felice Maniero avevano fatto la storia criminale (e di sangue) negli anni ’80 e ’90 e in “collegio” in carcere non erano morti: Gilberto Boatto, Paolo Pattarello, Gino Causin, poi circondati da decine di giovani agguerrite leve. È l’accusa.
Il gergo
Ogni banda ha il suo gergo. Paolo Pattarello è “il falegname”: «Il falegname ha fame...perché ha lavorato», si sente dire dopo la riscossione del mensile di 3 mila euro estorto a Otello Novello. La creatività talvolta è macabra: “47....morto che parla” è Paolo Tenderini, 47 come il civico della via dove abita, lui, che con Felice Maniero (“Cotola”) e Giampaolo Manca, Alessando “Doic” Rizzi tra i “nemici” con i quali il gruppo progetta di regolare i conti. Invano, per fortuna. Talvolta banale. Il siciliano Lo Manto deve venire a Venezia per prendere dal gruppo una 7,65 con 10 proiettili? Chiama e prenota «un giro in gondola». Il numero di Trabujo appare sotto “officina” nella rubrica del cellulare di Pattarello e l’albanese Festim Shemellari (l’uomo delle rapine, delle azioni violente) è “il meccanico”. Ci si ricorda di prendere il “giubbetto d’inverno” (antiproiettile) prima di un colpo. Per stabilire il luogo di uno scambio di droga – traducono i Cc – Pattarello e Michielon parlano di “cameriera al ristorante” o fissano un appuntamento per il “caffé”.
Nostalgia canaglia
Ci sono anche squarci storico-nostalgici tra le migliaia di intercettate. «Sai chi è stata la rovina qua, la rovina di Mestre... a Venezia no, perché a Venezia non c’è mai stata.... la rovina è che ci hanno mandato via noi, per far arrivare questi miserabili indegni», si sfoga Boatto in uno dei suoi monologhi da capo, «hanno combattuto solo la mafia, invece qua con la mafia si stava bene! Negli anni ’80 Mestre era tra le città più ricche del Nordest. Qua avevano tutti i soldi: noi facevamo prendere soldi a tutti». «Elucubrazioni tipiche del “pensiero mafioso” secondo il quale la Mala del Brenta», commentano i carabinieri del Ros nella loro nota, «era in passato l’unico apparato in grado di creare e mantenere ricchezza e benessere e averla combattuta avrebbe sortito l’effetto di far emergere indiscriminato di elementi pericolosi e senza scrupoli. Il progetto – riassumono gli investigatori – era stabilire l’egemonia dei “Mestrini”, conquistare il controllo del Tronchetto e dei traffici turistici, non con la violenza, ma “convincendo” gli operatori a pagare il pizzo per la protezione dalle mafie che avevano messo gli occhi su Venezia. I piani sono quelli di un tempo, ma c’è l’anagrafe con la quale fare i conti. e così si cercano e si trovano braccia giovani. «Allora bisogna chiamare fioi...purtroppo noi abbiamo un’età, non siamo più in grado di fare le cose di una volta. Quello è il discorso, abbiamo problemi”.