«Nel corso della mia carriera ho avuto modo di lavorare sia con artisti, sia con musicisti,» racconta a GQ Kim Jones, il direttore artistico di Dior uomo, mentre gesticola di continuo verso due grandi lavagne su cui sono incollate le fotografie di ciascuno dei 49 look della sua nuova collezione. «Così ho pensato che sarebbe stato interessante prendere ispirazione dalla letteratura in questa stagione». Il nostro incontro avviene in un oscuro seminterrato di Holborn, un quartiere storico di Londra, e mancano solo due giorni alla sfilata AI/22 uomo di Dior, la prima che Jones ha allestito nella sua città natale dopo il periodo di due anni e mezzo come direttore creativo di Alfred Dunhill una decina di anni fa. Il designer, pioniere del lusso street, si è preso una pausa da un impegnativo programma di prove con i modelli per raccontare a GQ qual è l'ispirazione da cui sono nati i suoi abiti.
«Ho preso ispirazione da chi negli anni '50 stava facendo cose innovative, all'incirca nello stesso periodo in cui Monsieur Dior era impegnato a rivoluzionare la moda,» dice nel suo inglese forbito che ha un tocco di principesco, assai simile all’accento della Regina. «La Beat Generation è stata una scelta obbligata». Jones indossa una felpa aderente Dior dal distintivo marchio di fabbrica nero, si tiene in forze grazie a un pacchetto di Popchips al sale e aceto e i suoi capelli, tagliati corti, hanno ancora i segni dorati di un recente lavoro di candeggio. La carnagione, molto chiara e rilassata, mostra un sorprendente stato di benessere per un uomo che sta per mostrare al mondo una delle 25 collezioni disegnate nel corso di quest'anno. Oltre al ruolo occupato da Dior, Jones è il direttore artistico dell'abbigliamento femminile di Fendi, ed è un doppio impegno che lo tiene molto occupato. La mole di responsabilità e attività in corso e le future ci costringe a immaginare gli spensierati Kerouac, Burroughs e altri artisti della stessa corrente, rivoltarsi nella tomba alla vista della sua fitta agenda.
«Jack Kerouac è l’autore del celebre romanzo On The Road, pubblicato nel 1957,» dice Jones precisando che Christian Dior morì a 52 anni, all'apice del potere, proprio nello stesso anno in cui veniva dato alle stampe l’opera che poi fu considerata il manifesto della Beat Generation. «Così ho contattato chi gestisce l’eredità dello scrittore e pittore Jack Kerouac collaborando con loro per portare lo spirito di alcune delle opere d'arte e dei suoi celebri scritti nella collezione. Volevo raccontare la storia di On The Road ambientandola ai nostri tempi. I Beat ispirano ancora le giovani generazioni, quindi ho pensato che fosse interessante riproporre quel viaggio on the road attraverso gli abiti, tramite Dior». Il risultato è una collezione omaggio all'opera di Kerouac, oltre a una preziosa mappa utile a orientarsi tra le infinite vie da cui nasce l’ispirazione di un cervello, così vivace e capace di apprendere da ogni esperienza, come quello di Jones. I maglioni Grungey Fair Isle che, a prima vista, sembrano consumati agli orli, ma sono in realtà cosparsi di paillette, uno spunto di design preso direttamente dall'archivio di Monsieur Dior, sono abbinati a pantaloni corti in denim lavato, mentre gli stivali da trekking in pelle scamosciata e rivestiti di coccodrillo sono associati a pantaloncini di nylon, cappotti collegiali e blazer a quadrettoni, ispirati direttamente alle collezioni Dior della metà del secolo di Yves Saint Laurent e Marc Bohan.
L'estetica mix-and-match che presenta una contaminazione tra la più raffinata eleganza francese e la rustica tradizione americana, in linea con le origini stesse di Kerouac, nato da genitori franco-canadesi e cresciuto a New York, è presente nei dettagli più intelligenti della collezione. Le camicie da sera con paillettes sono associate a cravatte sottili e robuste scarpe da postino in bordeaux e argento brunito, mentre i long john in maglia grossa sfregano gli orli di camicie spaziose che, a detta di Jones, sono state disegnate per assomigliare "alle sovracoperte dei libri".
In effetti, c'è una certa delicatezza nell'offerta AI/22 di Jones, un nuovo calore che sembra in contrasto con la rigidità riscontrata nelle sue precedenti collezioni per Dior. Il suo viaggio all’interno dell’estetica e dei contenuti degli intellettuali Beat, che erano famosi sia per la spontanea fluidità del loro stile letterario, sia per il loro approccio libero alla vita e al vestire, ha incoraggiato Jones ad allentare le maglie? «L'idea di riprodurre la grandezza di certe personalità è la chiave", spiega il designer. «C'è un Neal Cassady nella collezione, un Charles Bukowski, un Allen Ginsberg, e... tutti i diversi Beat».
A parte le camicie voluminose, rifinite con una versione più estesa delle immagini trovate sulle prime edizioni di On the Road e una giacca di pelle dipinta a mano con la copertina della prima copia del romanzo sperimentale di Kerouac, Visions of Cody, ci sono anche un sacco di fronzoli di facile accesso e piccoli articoli in pelle che Jones, un merchandiser nato, eccelle nel produrre stagione dopo stagione. Tutto rientra perfettamente nel tema del viaggio su strada. Ci sono borse a tracolla e in rete, occhiali da sole sportivi fatti interamente di plastica oceanica riciclata, pesanti sandali da trekking e berretti di paillettes disegnati per essere indossati come cuffie da bagno. Quando chiedo a Jones di indicarmi i capi di cui è più orgoglioso, il designer punta subito il dito su un caban blu notte che si chiude con la sua martingala sul retro. Mi mostra anche una giacca di shearling rasato e plissettato a caldo con un elegante motivo a rombi e un bel cappotto di pelle di agnello.
Jones risiede in una casa londinese che si trova a ovest del suo studio temporaneo di Holborn, ed è al contempo una casa e una moderna wunderkammer, una camera delle meraviglie, vero e proprio museo vivente colmo di molteplici curiosità culturali collezionate nei suoi 48 anni di vita. Il designer spesso prende ispirazione dalle cose che ama come punto di partenza per le proprie collezioni. La prima uscita couture di Fendi è stata ispirata dal compendio personale di volumi originali di Virginia Woolf, mentre Dior SS/21 si è basata su un dipinto dell'artista ghanese Amoako Boafo, appeso nel suo corridoio. Non dovrebbe sorprendere, quindi, che per quest'ultima collezione Jones si sia ispirato all'opera più famosa di Kerouac, di cui possiede diverse prime edizioni. Il riferimento al libro di Kerouac del 1957 è ancora più significativo se si considera quanto tempo Jones stesso passi sulla strada, sempre in viaggio. È l'incarnazione in carne ed ossa di un’esistenza peripatetica di alto livello. Per verificarlo basta dare uno sguardo all'account Instagram di Jones, tappezzato di immagini delle inaugurazioni dei negozi a Tokyo, delle riunioni di design a Roma, dei lanci dei prodotti a New York e ora della preparazione della sfilata a Londra. Allestita pochi giorni dopo il nostro incontro nei dintorni del centro espositivo Olympia di Kensington, la sfilata è stata la classica produzione haute couture ad altissimo budget che ci aspettavamo. Le celebrità che hanno occupato la prima fila erano di ogni genere, da Jonathan Bailey e Micheal Ward, a Sam Smith e Naomi Campbell. A fine sfilata, Grace Jones si è esibita in uno spettacolare set e lo spazio rispecchiava perfettamente l’articolata concezione artistica della collezione, per non parlare del consistente investimento produttivo.
Una profusione di mezzi evidenziata, in particolare, dalla pista formata da un rotolo gigante di 120 metri su cui erano stampate le parole di Kerouac, progettato a richiamo del lungo manoscritto che lo scrittore produsse per On The Road. Una citazione legata all’idea avuta da Kerouac di cucire insieme innumerevoli fogli di carta per alimentare di continuo la sua macchina da scrivere, in modo da non interrompere mai il suo flusso creativo.
Tornando alla chiacchierata nel seminterrato di Holborn, mentre stavo per essere accompagnato fuori da uno degli assistenti di Jones vestito di cashmere, mi soffermo su un dettaglio e gli chiedo di spiegarmi il senso della piccola spilla finemente decorata sul colletto della sua felpa. È un omaggio a un gingillo indossato da Kerouac? Entrerà nello spettacolo? «No, è il mio OBE, un’onorificenza», sorride Jones, che ha ricevuto la decorazione per i servizi resi moda nel 2020.
Colpisce che il look personale di Jones sia la perfetta incarnazione della maestria dello stilista nel coniugare alto e basso, costose felpe firmate in linea con l’OBE e l'occasionale spot alle Popchip convivono in felice armonia. Mi viene da chiedere se questa contaminazione sia anche la chiave del successo della nuova collezione. «AI/22 significa giocare e mescolare». Jones è d'accordo: «Come se vivessi portando con me una valigia e dovessi scegliere ogni giorno qualcosa di nuovo da indossare». Fa una pausa, solleva la mano e sorride appena, la sua brillante spilla dorata luccica sotto le luci a nastro del suo studio improvvisato. «Come se fossi sempre in viaggio».
Articolo tratto da GQ UK
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