A Prato della Valle due statue di donne contro il dominio maschilista. Ma c’è un luogo più adatto
Prato della Valle è uno dei simboli di Padova e uno dei luoghi più famosi d’Italia. Realizzato nel 1775 da Andrea Memmo, allora Provveditore della Serenissima a Padova, con il contributo dall’abate Domenico Cerato, professore di architettura a Vicenza e Padova, fu un esempio di riqualificazione urbana di grande effetto: da area malsana e trascurata divenne il luogo di rinnovate attività fieristiche e amene passeggiate. Al centro della piazza è un’isola verde, l’isola Memmia, circondata da un canale ornato da un doppio ordine di statue (originariamente erano 88) di più o meno celebri personaggi del passato legati a Padova. Oggi sono 78 statue, con otto piedistalli sormontati da obelischi e due basamenti vuoti sul ponte settentrionale dell’isola.
A Padova imperversa in questi giorni il dibattito circa la proposta di collocare una o due statue di donne sui piedistalli vuoti, interrompendo il dominio “maschilista” che caratterizza il circuito monumentale. È certamente nobile l’intento di risarcire dei torti della storia chi, come le donne, quei torti ha così a lungo subito. I torti della storia sono infiniti. Solo nell’Ottocento e nel Novecento il secolare predominio delle immagini dei potenti (prìncipi e uomini d’arme) ha lasciato il passo anche ad altri protagonisti, meno potenti ma non meno significativi. È stato in particolare dopo la Prima Guerra mondiale che centinaia di migliaia di oscuri caduti hanno visto il loro nome impresso sul marmo ai piedi di un monumento che, loro malgrado, li celebrava.
Va notato che in Prato della Valle sono sì ospitate le statue di padovani e di altri personaggi che sono stati in rapporto con la città, ma si tratta di un pantheon largamente incompleto. A fronte della presenza di nomi ben poco memorabili, mancano all’appello quelli di Donatello, Tiziano, Cornaro, Falconetto, Ruzante (la bella statua di Amleto Sartori è giustamente collocata davanti al teatro Verdi) Vesalio, Harvey, Falloppio e molti altri. Anche Palladio non c’è, ma lo si credeva vicentino. Giotto è arrivato nel 1865, assieme a Dante (entrambi scolpiti da Vincenzo Vela), ma la sua statua non è stata collocata su uno dei due piedistalli vuoti dell’Isola Memmia (chi più di lui l’avrebbe meritato?) ma sotto gli archi della Loggia Amulea.
Sopra quei piedistalli vuoti c’erano in origine le statue di due dogi, che come le altre statue dogali collocate sui ponti est e ovest, dove oggi svettano gli obelischi, furono distrutte alla caduta della Serenissima. Quei vuoti, dunque, come giustamente ha indicato lo storico dell’arte Davide Tramarin, sono straordinariamente eloquenti perché testimoniano una cesura di importanza capitale: la fine dell’ancien régime, con la cessazione del secolare dominio veneziano sulla città. Sono un esempio della plurimillenaria pratica della damnatio memoriae, di cui la cancel culture è la più recente variante. Lasciamoli perciò vuoti, quei piedistalli, come sono da più di due secoli.
Perché invece non dedicare alle donne illustri uno spazio più ampio di quello consentito nell’Isola Memmia e a questa prossimo? In primavera si darà il via alla demolizione delle gradinate orientali dello stadio Appiani: è un’occasione unica per riqualificare e dare un nuovo assetto a tutta l’area. Tra le cose che Italia Nostra Padova propone, la più interessante è sicuramente la riapertura del tratto del canale Alicorno parallelo a Via 58° Fanteria. Si potrebbe creare così una magnifica passeggiata lungo la quale, all’ombra dei platani, collocare non una o due ma una serie di statue di donne padovane degne di memoria. Si tratterebbe, probabilmente, di un percorso con pochi uguali in Italia e non solo.
Sarebbe un’operazione di recupero di un canale tombato e nascosto negli anni ’50 del secolo scorso, le cui acque alimentano il Prato della Valle e che passa lungo le Mura (minacciate dalla costruzione del nuovo Ospedale Pediatrico, un edificio alto 40 metri ad appena 26 dalle mura che comprometterà definitivamente ogni possibilità di recupero integrale della cinta muraria padovana). Unire il Prato della Valle ai bastioni cinquecenteschi, già adesso accessibili, con una bella passeggiata da attrezzare e ombreggiare con piantumazioni di alberi ad alto fusto è probabilmente l’intervento di riqualificazione urbana più significativo che l’attuale amministrazione potrebbe realizzare e non sarebbe quindi solo una risposta alle pur giuste richieste di risarcimento della memoria collettiva delle donne padovane e italiane.
L'articolo A Prato della Valle due statue di donne contro il dominio maschilista. Ma c’è un luogo più adatto proviene da Il Fatto Quotidiano.