L’ultimatum della Russia alla Nato «Via le truppe da Romania e Bulgaria»

BELGRADO La crisi tra Occidente e Russia sulla questione Ucraina si riverbera anche nel “cortile di casa” della Ue. Lo fa con richieste dirompenti. E altrettanto esplosive reazioni. È lo scenario che si è andato sviluppando ieri tra Mosca e i Balcani, dopo che il Cremlino ha reso pubblico un ultimatum inedito e controverso alla Nato e a Romania e Bulgaria, Paesi membri della Ue dal 2007 e dell’Alleanza atlantica già dal 2004, in quello che fu uno dei più estesi allargamenti a Est dell’organizzazione militare occidentale. Romania e Bulgaria da cui dovrebbero andarsene per sempre le truppe e gli armamenti della Nato oggi presenti sul loro territorio, la richiesta del ministero degli Esteri russo, gettata sul tavolo dei negoziati per un futuro trattato sulla de-escalation della crisi ucraina. «Parliamo del ritiro di forze straniere, di equipaggiamenti e armamenti per ritornare allo scenario del 1997», ha sentenziato il Cremlino. Si tratta di un riferimento preciso alla situazione nell’Europa centro-orientale di un quarto di secolo fa, quando gli ex Paesi del Patto di Varsavia erano ancora fuori dalla più importante organizzazione militare difensiva occidentale. La successiva espansione della Nato a Est venne poi letta da Mosca come un’offensiva in un’area da non toccare, perché tradizionale sfera d’influenza russa, spettativa mai soddisfatta dall’Occidente. Ma ora serve ripercorrere a ritroso il cammino, se effettivamente Usa ed Europa vogliono una pace duratura in Ucraina, è il sottinteso di Mosca. Ritorno al periodo pre-1997 in particolare per Sofia e Bucarest, ha chiarito il ministero degli Esteri russo. Il ritiro della Nato deve riguardare in particolare «Romania e Bulgaria», ha puntualizzato infatti il responsabile della politica estera russa, Sergey Lavrov. La proposta russa, già tratteggiata in una bozza di accordo di garanzia emersa a dicembre, con condizioni già definite inaccettabili da Nato, Ue e Usa, ha provocato un’alzata di scudi unanime, nelle capitali interessate e oltre. Alzata comprensibile, dato che la Romania è sede di una delle più importanti basi Nato a Est e dà ospitalità a mille soldati Usa, mentre in Bulgaria sono di stanza 2.500 i militari americani. A reagire prontamente è stata così subito la Romania, che ha parlato di richieste «inaccettabili», che non possono neppure essere «oggetto di trattative», ha ammonito in una nota il ministero degli Esteri di Bucarest. Sulla stessa linea anche la vicina Sofia, da dove ha fatto sentire la sua voce il neo-premier Kiril Petkov. «La Bulgaria è un Paese sovrano, che da tempo ha deciso di diventare membro della Nato», ha dichiarato il primo ministro bulgaro, aggiungendo che Sofia ha tutta l’intenzione di decidere in autonomia «come organizzare la difesa del nostro Paese in coordinamento con i nostri partner». In più, ha rimarcato Petkov, la Nato non prevede membri di serie A e di serie B, «per cui la difesa collettiva deve essere applicata selettivamente». Con questo in mente, Mosca dovrebbe evitare richieste irricevibili, ha aggiunto. Ma a reagire è stata anche la stessa Nato, non a caso per bocca del vice segretario generale, il romeno Mircea Geoana. Quali e quante truppe dislocare nei vari Stati membri dell’Alleanza «non è un problema della Russia e l’idea che si possa minacciare una nazione sovrana e indipendente è anacronistica, un ritorno al passato». Un passato che ha tutto il sapore di una nuova Guerra fredda.