Quattro anni di ricerche, la nipote scopre l’incubo vissuto dal nonno: «Ecco le prove della prigionia in Germania che non voleva raccontare»
La donna ha consultato archivi italiani e internazionali: trentadue anni dopo la morte lo Stato riconosce la medaglia d’onore per i deportati
SESTO AL REGHENA. «Oggi, finalmente, il nonno è tornato a casa». Poche parole, quelle di Francesca Benvenuto, dopo aver ricevuto dalle mani del prefetto Domenico Lione la medaglia d’onore della presidenza del Consiglio per i deportati italiani, militari e politici, nei lager nazisti che ricorda suo nonno. Una medaglia arrivata dopo 4 anni di ricerche.
Protagonista di questa storia è Giovanni Zamarian, nato a Latisana nel 1911 e morto a Ramuscello di Sesto al Reghena, dove aveva vissuto per anni, nel 1990.
Nel 1942 era stato arruolato nel 7º Reggimento Fanteria e inviato in Grecia. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 era stato arrestato a Corinto. «Fu imprigionato – racconta Benvenuto – e costretto ai campi di lavoro coatto in qualità di “Imi”, ovvero internati militari italiani. Lavoravano per sostenere lo sforzo bellico della Germania. A tutti loro – prosegue – fu chiesto di aderire alla Repubblica di Salò. La maggior parte disse di no, preferì restare ai lavori forzati in condizioni a dir poco terribili. Dovevano tenerli in vita perché serviva che lavorassero per la Germania, ma gli italiani era considerati traditori e per questo considerati animali».
Nel settembre del 1945 tornò a casa – dove lo credevano morto – con mezzi di fortuna. «Poi, però, è avvenuto ciò che è capitato a tanti altri deportati: nessuno aveva voglia di parlare e di ascoltare, perché bisognava andare avanti, nessuno neanche credeva a queste parole e i sopravvissuti non riuscivano a raccontare. Sia mia madre – dice Benvenuto – che i suoi fratelli sapevano pochissimo e con il tempo nessuno ha chiesto. Nessuno aveva la certezza che fosse veramente stato prigioniero. Il nonno si è tenuto dentro il dolore di un anno e mezzo di fame e pulci, per decine di anni fino a quando, negli anni ’80 ha iniziato a soffrire di Alzheimer finendo di condannare quel dolore al silenzio».
Francesca Benvenuto ha sentito il dovere di ricostruire la vita del nonno «per curiosità ma anche per un desiderio di colmare un vuoto: la sua malattia non mi ha permesso di conoscerlo, avevo bisogno di riportare al suo posto le persone e dargli un ruolo».
Ha consultato archivi italiani e internazionali. «Alla fine – ricorda – ho avuto risposta a fine 2020 dal Bundesarchiv di Berlino, dove è custodito l’archivio della Wehrmacht, che dopo un anno mi ha risposto inviandomi copia delle schede di prigionia del nonno. Abbiamo avuto la certezza che era lui perché nella scheda è segnata l’altezza: era alto 1,95. Non si poteva sbagliare».
Benvenuto ha scoperto che il nonno era stato prigioniero nel campo di Hammersteing, in Polonia, e nei due campi tedeschi di Krefeld e Bonn Duisdorf, liberato il 25 aprile del 1945. Ha fatto la richiesta di riconoscimento di medaglia d’onore al comitato ex Imi della presidente del Consiglio e giovedì, nel giorno della Memoria, le è stata consegnata