Mattarella-bis, quel filo tra Letta e il pisano al Quirinale che ha favorito l’intesa

PISA. Un filo diretto che affonda le radici ai tempi del liceo e che si catapulta nell’attualità più stringente, l’elezione-rielezione del Presidente della Repubblica. Ma non c’era tempo, e nemmeno bisogno, di ricordare i vecchi tempi. Eppure, nelle stanze romane della politica, a questo filo diretto ora si dà un grande peso. Da una parte Enrico Letta, segretario del Pd, dall’altra Simone Guerrini, capo della segreteria di Sergio Mattarella. Nel 1990 erano insieme sui banchi del consiglio comunale di Pisa, giovani alfieri della Democrazia cristiana. In questi giorni, così si dice sussurrando, Letta ha tessuto la tela.

E la confidenza con Guerrini glielo ha permesso più facilmente. Ha voluto capire quali margini ci fossero, come e se poteva avvenire il clamoroso bis. Diventato meno clamoroso man mano che passavano i giorni e le votazioni. Una progressione che era un segnale. L’esigenza di non tirare il Presidente per la giacchetta, senza processione dei big nell’opera di convincimento, semmai di costruzione di un consenso che partisse dalla base del Parlamento, una spinta crescente. Letta ci ha lavorato, Guerrini la sua sponda. L’amico di lunga data. Ombra silenziosa, dietro le quinte, ma ascoltatissimo. Da Mattarella. E non solo. Ex dirigente di Finmeccanica, 60 anni, ha un rapporto strettissimo con il Presidente, ne è stato consigliere fin dai tempi della vicepresidenza del consiglio (dall’ottobre 1998 al dicembre 1999) e del ministero della Difesa (dal 1999 al 2001). Riannodando quel filo, Guerrini a Pisa equivale ad evocare Letta, di cui è amico d’infanzia, ma del quale è stato anche mèntore e scopritore. Tra i tanti tratti comuni, una diversità di fondo nel carattere. Da una parte il giovane “scapigliato” dell’Azione Cattolica che nei sabato sera nella solita pizzeria di Porta a Lucca, il quartiere dello stadio di Pisa, o nella casa degli amici sul lungarno, strimpellava la chitarra cantando i Nomadi, dall’altra il mediatore che faceva notte a spostare soldati e carrarmati giocando a Risiko nella suddetta dimora. Da una parte l’uomo che odia le cravatte, dall’altra, l’ex premier, che gliene regalò un mazzo «perché frequentando Roma non puoi permetterti di far brutta figura nella capitale».

Erano gli anni tra gli Ottanta ed i Novanta, quelli in cui si sarebbe aperta e chiusa la carriera politica di un democristiano di sinistra venuto dal Cep, il quartiere popolare e rosso dove il padre Bruno Guerrini, ingegnere nucleare e rettore dell’Università, lo avrebbe fatto crescere insieme alle due sorelle, medico e biologa all’ospedale. Perché ad un certo punto le storie della politica e delle ambizioni fanno cambiare le loro strade.

Mentre Letta si laurea accetta di fare il segretario del giovane Simone, che nel frattempo è diventato il leader dei giovani democristiani. Guerrini lo fa diventare presidente dei giovani popolari europei e lo catapulta a Bruxelles. L’incontro con Beniamino Andreatta è, per Letta, il trampolino di lancio verso la carriera nei palazzi che contano. Guerrini ci prova, si candida alla Camera alle politiche del 1992. Non viene eletto. A quel punto esce dalla prima fila della scena. La strada è un’altra. Laureato in Giurisprudenza all’Università di Pisa con 110 e lode, executive master in business administration alla Luiss, dal 1993 lavora in varie aziende industriali e dei servizi, dal 2001 entra in Finmeccanica con diversi ruoli fino a diventare responsabile delle relazioni istituzionali. «È ancora come ai tempi in cui era capo delle giovanili della Dc.

Serio, concreto, intelligenza politica vivace, ma refrattario ai salamelecchi dei palazzi», dicono sotto la Torre amici come gli ex assessori comunali Antonio Schena e Andrea Serfogli. Dicono anche che avesse già fatto gli scatoloni. Poi la storia che ritorna.

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