L’editoriale del direttore / Nessuno che faccia i compiti a casa
L’elezione al Quirinale non è un meteorite che ti piove sulla testa. Non è la frattura improvvisa di uno schema: anzi, con Sanremo, con le tasse e poche altre cose, è una certezza del calendario. Si sa che arriva. Quando Mario Draghi si è insediato a Palazzo Chigi, si è detto e ridetto che in quel momento era iniziata la vigilia del voto presidenziale. Abbiamo pensato: allora si prepareranno
Non si canta alla Scala di Milano senza esercitarsi, non si gioca a Wimbledon senza allenarsi e non ci si laurea senza studiare. Pare un assioma e per giunta banale; ma ancora una volta abbiamo assistito a una zona franca, un’altra dimensione narrativa della realtà, che dell’assioma fa carta straccia e coriandoli. Quella dimensione è la politica.
L’elezione al Quirinale non è un meteorite che ti piove sulla testa. Non è la frattura improvvisa di uno schema: anzi, con Sanremo, con le tasse e poche altre cose, è una certezza del calendario. Si sa che arriva. Quando Mario Draghi si è insediato a Palazzo Chigi, si è detto e ridetto che in quel momento era iniziata la vigilia del voto presidenziale. Abbiamo pensato: allora si prepareranno. Ma chi può sostenere, seriamente, di aver studiato e realizzato un percorso con questo epilogo, cioè Sergio Mattarella eletto dopo l’ottavo giro? L’ottavo, non il primo. Sono passati 350 giorni, abbiamo assistito a una trama da palude; e questa storia, che aveva tutte le credenziali per essere pianificata, trova un finale da mossa residuale, forse da mossa disperata. Facciamo così perché non riusciamo a fare diversamente. Facciamo così anche se il diretto interessato non avrebbe voluto. E, sia chiaro, il Presidente Mattarella è l’italiano più capace per quel ruolo.
Matteo Salvini aveva garantito che aveva un gran nome da lanciare. All’atto pratico cosa ha fatto? Ha presentato una serie di candidature senza successo; ha insistito pervicacemente su Maria Elisabetta Alberti Casellati sbattendo contro una bocciatura che è arrivata, clamorosa, dallo stesso partito della Presidente del Senato. Molti – anche su questo giornale – avevano fatto presente che sul nome di Casellati sarebbe arrivato fuoco amico. Sul serio Salvini non lo sapeva? Un sorpresone, proprio. Venerdì sera il leader della Lega ha annunciato che comunque era al lavoro con fiducia per l’incarico a una donna “e in gamba” (?): non ricordo che questa sottolineatura, grottesca, assolutamente superflua, sia mai stata abbinata alla scelta di un uomo. Poche ore dopo, ecco un Salvini soddisfatto... per un esito totalmente diverso. Costui doveva essere l’architetto di uno dei passaggi più delicati e raffinati della cultura costituzionale del Paese.
La coalizione di centrodestra, la più potente nei numeri, è spaccata su due assi decisivi: il governo e ora anche il Capo dello Stato. Sembra poco? L’unica stella polare per i 5 Stelle sembra la paura di andare a casa. FdI certo non può essere accusata di incoerenza; ma resta il fatto che ha perso e ha valutato male i suoi alleati. Renzi è parso dedito più che altro a stoppare l’ipotesi Belloni. Il Pd stavolta si è mosso meglio, di tattica, senza divisioni e senza bruciare nomi suoi. Ma anche qui non si può parlare di un itinerario pre-impostato.
L’improvvisazione è una buona dote, ma è sopravvalutata. Lo studio e la preparazione contano di più. Il punto è che nessuno, qui, vuole fare i compiti a casa.