Forza Italia apre il fronte nelle città toscane: «No a candidati sindaci di destra»
Gli effetti dopo il voto al Quirinale. Mallegni: basta diktat salviniani. Ceccardi è per le primarie. Ma i forzisti lavorano con Renzi per Del Ghingaro
ROMA. Che il Quirinale serva a qualcosa, dice Massimo Mallegni. Ecco, sappiate che quello del senatore e capo di Forza Italia in Toscana non è esattamente un auspicio amichevole. Non nei confronti degli alleati. L’ex sindaco di Pietrasanta, un passato da pupillo di Silvio Berlusconi, oggi uno dei fedelissimi del Cav, sta per aprire un fronte nel centrodestra pure nei Comuni toscani che a maggio andranno al voto. E la frattura potrebbe diventare insanabile.
Sì, perché «con quello che è successo a Roma al centrodestra – dice Mallegni – faremo fatica a Lucca, ad esempio, ad accettare una candidato sindaco di destra. Serve una personalità di centro, moderata». E «non corrisponde per niente al profilo», è convinto il senatore azzurro, Luca Leone, capo di gabinetto del sindaco Michele Conti a Pisa e leghista scelto dalla coalizione come candidato per sfidare Francesco Raspini, incoronato dal centrosinistra nelle primarie come il successore di Alessandro Tambellini.
Che l’implosione del centrodestra nella corsa al Colle abbia innescato un’onda d’urto tale da ripercuotersi anche sulle prossime Comunali è talmente evidente già solo per questa banale informazione: per la Lega le candidature in Toscana sui capoluoghi sono già chiuse. Per Fratelli d’Italia e i forzisti sono chiuse un corno. «Come no? – dice Mario Lolini, coordinatore regionale del Carroccio – Leone a Lucca, il civico Simone Caffaz a Carrara e la riconferma dell’uscente Alessandro Tomasi a Pistoia. Si è deciso così, se Forza Italia vuole strappare lo dica, sennò si dedichi al terzo polo e all’alleanza con Renzi».
Toni irenici, insomma, atmosfera new age. Mallegni graffia. «Già chiusa la trattativa su Leone a Lucca? E chi lo dice? Luca è un bravo ragazzo, ma non ci facciamo certo irretire da una candidatura di Salvini». Sovranisti, pussa via.
La verità è che nel centrodestra ormai siamo alle cenciate nel viso. La Lega rimprovera ai meloniani di averla illusa e tradita, tanto che c’è ancora chi nel Carroccio conta i franchi tiratori andati a segno sulla Casellati. Alla presidente del Senato sono mancati ufficialmente 71 voti del centrodestra, ma «in realtà erano 90, perché qualche peones dal misto l’ha votata. Dunque, insieme a quelli dei forzisti e di Coraggio Italia, son mancati anche una ventina di voti dei meloniani fondamentali per raggiungere la soglia psicologica dei 400 che avrebbe spinto il centrodestra verso una seconda chiama vincente», ragionava venerdì sera a Mattarella eletto un leghista toscano in Transatlantico.
È un cortocircuito di veti e veleni contrapposti: la Lega non si fida di Fdi, Fdi poco della Lega, per nulla dei berlusconiani , i quali da giorni tentano di convincere i leghisti giorgettiani a mobilitare l’insoddisfazione nel partito e sfiduciare Salvini. Ed è chiaro che tutto questo trambusto si ripercuota sulle scelte sul territorio. Per dire, i meloniani non stanno per niente sereni neppure su Pistoia, dove finora era data per fatta: «Il centrodestra ha attraversato bufere di ogni tipo, ma ora c’è bisogno di una riflessione. Noi nel centrodestra ci siamo e ci rimaniamo – dice il coordinatore regionale Francesco Torselli –. La Lega e Forza Italia ci facciano sapere se quella su Mattarella è stata l’ennesima scappatella fuori dalla coalizione o se stavolta c’è un progetto diverso».
Che Forza Italia percorrerà una strada in solitaria è dato quasi per certo, ma fra i Meloni boys c’è il sospetto concreto che perfino la Lega si sia draghizzata, e a forza di stare in un governo europeista e anti-populista abbia cambiato ragione sociale e culturale. Che Mario Draghi abbia romanizzato i barbari.
Il rischio di una crepa è concreto, e potrebbe costare al centrodestra l’occasione di riprendersi la città bianca. «Se scende in campo Giorgio Del Ghingaro, noi i nostri voti li orientiamo su di lui», sussurravano venerdì molti parlamentari azzurri. Il sindaco di Viareggio non ha ancora deciso, ha tempo per farlo sino a fine febbraio, quando dovrà dare le dimissioni se vorrà correre nelle città murata. Da tempo si sa che suoi supporter sono i renziani. Ma pure Mallegni ha più volte espresso il suo apprezzamento. E in questa settimana ha cominciato a intessere la tela con i big di Italia Viva, Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi.
«In fondo, la partita del Colle ha segnato un confine – spiegava Andrea Ruggieri, deputato romano –. Forza Italia non potrà essere più la stessa, anche in vista del proporzionale dovremo cominciare a parlare di una cosa di centro con Renzi». Lucca potrebbe essere un laboratorio, anche senza Del Ghingaro se “re Giorgio” decidesse di restare in Versilia.
Poco di cui scherzare. Lo strappo produrrebbe un nuovo tonfo, la fine della stagione burbanzosa con cui Salvini ha strappato le città rosse al Pd. «I sindaci uscenti vanno riconfermati e a Lucca i nomi in campo sono tutti moderati», prova a stemperare l’eurodeputata Susanna Ceccardi. I nomi sono quelli di Leone, di Remo Santini, moderato ma già sconfitto una volta, e di Mario Pardini, fino a qualche giorno fa circonfuso dall’aura di Marcello Pera, suo mèntore e sponsor. Da quando il filosofo lucchese è stato bruciato nel grande falò dei candidati al Colle allestito da Salvini anche Pardini non ha più lo stesso appeal. Che ne pensa Mallegni? Che ve lo diciamo a fare. Ceccardi un tempo avrebbe ruggito. Ora: «Facciamo le primarie».
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