Ieri sera al Palais Brongniart, che è stato la sede della borsa valori di Parigi fino al 1998 e che per questo è conosciuto da tutti come Palais de la Bourse, si è svolta la prima sfilata di Off-White dopo la scomparsa di Virgil Abloh, che aveva fondato il brand a Milano nel 2012 e che ne è sempre stato il direttore creativo fino al 28 novembre 2021, quando è morto dopo una lunga malattia affrontata privatamente.

Quella location non è evidentemente casuale. È infatti fuori da quel palazzo, mentre all’interno si stava svolgendo una sfilata di Comme des Garçons, che nel 2009 è stata scattata questa foto di Tommy Ton in cui si vedono Kanye West e lo stesso Abloh insieme ad altri amici.

Il mondo della moda, nel 2009 era lontano anni luce da come lo conosciamo oggi, e West e Abloh a quella sfilata non erano stati invitati. Avevano però deciso di far parte di quel mondo, di cambiarlo, di democratizzarlo e di aprire un varco d’accesso per le persone non bianche e non appartenenti per nascita all'aristocrazia fashion che, tranne rare eccezioni, da quel mondo erano spesso escluse. In quel momento, per il mondo della moda istituzionale, West e Abloh erano due outsider.

Lo show di ieri è stata la simbolica chiusura di un cerchio, il riconoscimento, da parte del sistema moda e anche della città, di Abloh come creatore.
Senza cadere nel lirico o nel melodrammarico, e mantenendo per tutto il tempo un registro di delicato stupore, l’evento è stato un momento di scambio tra i codici e gli archetipi della Moda con la m maiuscola e il modus operandi di Abloh che quel sistema l’ha prima messo in discussione e poi rivoluzionato dall’interno.

È la voce registrata di Pharrell Williams, presa da una vecchia intervista, a dirlo prima dell’inizio dello show ‘Share the codes’. Condividere i codici, mettere insieme le cose.

I codici della moda parigina, istituzionale, costruiti e perpetuati in decenni di sfilate e che hanno raggiunto poi il picco di visibilità e rilevanza nell’epoca d’oro della moda, gli anni ‘80 e ‘90 in cui non è difficile immaginare un Abloh bambino rapito dalle immagini che quel mondo potente, ricco e scintillante produceva e propagava nella cultura pop attraverso i giornali e la tv, erano rispettati e raccontati nella struttura dello show e poi sovvertiti dai look presentati, abbozzati da Abloh e finiti dal suo team.

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Alberto Maddaloni

Lo sfilata-spettacolo, lunghissima, più di 30 minuti, è divisa in 3 movimenti, il primo con la presentazione del ready to wear, poi un intervallo con una performance musicale di Jeff Mills su cui si innesta la seconda parte dello show, dedicata alla couture, o come da press release ‘High Fashion’, il punto più alto e insieme tradizionale del fare moda.

Un casting di supermodel stellare, con la nuova guardia, Bella Hadid, Gigi Hadid, Adut Akech, Kaia Gerber, Kendall Jenner e poi, le icone di quegli anni leggendari, Helena Christensen, Cindy Crawford, Naomi Campbell, Karen Elson, Amber Valletta e Mariacarla Boscono: le modelle che avevano raggiunto un tale status di celebrità da essere chiamate solo per nome. E, almeno chi scrive, non le aveva mai viste tutte insieme nello stesso show. Ma forse, dopo il 2000, proprio nessuno.
La prima parte dello show prosegue coerentemente il percorso di passaggio, che il brand ha intrapreso da diverse stagioni, dal lavoro sulle grafiche a un approccio più sartoriale, con interventi strutturali sui vestiti come la maglieria con i fori o i tagli, oppure i segni distintivi di Abloh come le varsity jacket, i cappelli oversize o le mezze gonne plissé sopra i pantaloni sartoriali.
La seconda parte era un racconto del mondo di Abloh in forma di Haute Couture dell’epoca d’oro, con le modelle che avanzavano sorridendo o fissando il pubblico, facendo il giro su se stesse, fumando o bevendo champagne, come in uno di quegli show wagneriani di Thierry Mugler, in cui l’edonismo e il glamour assumevano nuovi significati. 
C’era un look-omaggio a Carrie Bradshaw, un look che era un autoritratto di Abloh stesso, e c’erano anche riferimenti più dolorosi alla malattia, come un outfit in cui uno zaino trasparente era riempito di pillole.
Per quasi tutta la durata della sfilata, due ragazzi fermi in mezzo alla pista avevano poggiate sulla spalla due grandi bandiere bianche su cui si leggevano, in helvetica e tra virgolette naturalmente, le parole “Question Everything”.

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