La testimonianza: «I miei sette giorni vissuti a Kiev, ho attraversato una città in guerra»
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Massimo Belluzzo, 51 anni, di Treviso, parla un’ora dopo aver varcato il confine della Moldavia. È un cameraman, un operatore video che lavora per la Rai. Si trovava a Kiev il giorno in cui la Russia ha sferrato i primi attacchi e ci è rimasto fino all’altro giorno, in un’altalena emotiva difficile da dimenticare
TREVISO. «Sollievo? Certo, ma anche misto di amarezza. Il pensiero torna sempre a Kiev. Che ne sarà di quella città? Che ne sarà di quelle persone?». Massimo Belluzzo, 51 anni, di Treviso, parla un’ora dopo aver varcato il confine della Moldavia. È un cameraman, un operatore video che lavora per la Rai. Si trovava a Kiev il giorno in cui la Russia ha sferrato i primi attacchi e ci è rimasto fino all’altro giorno, in un’altalena emotiva difficile da dimenticare.
«Io e la giornalista Maria Grazia Fiorani del Tg3 siamo arrivati a Kiev mercoledì 23 febbraio, con il compito di fare servizi dalla capitale. Non dovevamo andar al fronte, purtroppo è il fronte che è venuto da noi». Sì, perché alle 3.30 del mattino successivo c’è stato il primo bombardamento. «Hanno attaccato l’aeroporto e da quel momento è iniziato l’inferno» ricorda Massimo. «Alle 6 del mattino eravamo già in onda: eravamo l’unica troupe Rai nella capitale: tutti gli altri erano nelle zone di guerra e nessuno è più riuscito a entrare a Kiev».
Massimo e la collega giornalista alloggiavano all’hotel Ukraine, nella piazza principale della città, da dove si collegavano tutte le tv del mondo nei primi giorni.
«Ma il pomeriggio siamo scesi nella hall e l’hotel era stato abbandonato dal personale. Vuoto, completamente vuoto. C’erano solo gli ospiti. Un grandissimo hotel di 20 piani completamente senza personale: nessuno alla reception, nessuno che fa da mangiare. E soprattutto non avevano un bunker anti bomba».
Di fronte a una situazione del genere Massimo Belluzzo e la giornalista decidono di uscire a cercare altre sistemazioni.
«Siamo entrati in un altro albergo ma anche in quel caso il personale se n’era andato. Era rimasta solo la security. La mattina dopo, alle 7, hanno iniziato a suonare le sirene. Siccome anche lì non c’era il bunker, ci hanno evacuato in strada».
Il cameraman non esita a definirlo il momento più duro. «In mezzo a una strada, con una guerra in corso, con tutti i bagagli al seguito e le sirene che continuano a suonare. Siamo corsi sotto la metropolitana, con la popolazione». Da lì hanno ricominciato a trasmettere, con una diretta durata ore su Rai News 24.
«Volevamo entrare nell’hotel dove si trovano la Bbc e la Cnn, perché dicono che sia un posto persino più sicuro dell’ambasciata: nessuno bombarderebbe americani e inglesi. Ma era tutto esaurito e allora eccoci di nuovo in strada, alla ricerca di una sistemazione».
L’ultimo albergo scelto era in una zona militarizzata e lì l’operatore Rai ha avuto una disavventura. «Sono stato fermato dai soldati, hanno sequestrato la scheda della telecamera e cancellato la memoria del telefono. Motivazione? Non si potevano riprendere obiettivi militari».
Con il passare dei giorni, poi, sono arrivate informazioni poco incoraggianti. «Se n’è andata la Croce Rossa e anche l’ambasciata è stata trasferita. Ci hanno telefonato dicendo: ora o mai più. Abbiamo attraversato una città in assetto da guerra: 27 ore di viaggio, una notte trascorsa alla dogana tra Ucraina e Moldavia. E ora torno dai miei cari». —