Fidel Castro imparò da Curzio Malaparte come va fatta una buona rivoluzione
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Domenica al teatro Verdi di Trieste il quarto appuntamento del ciclo promosso dagli editori Laterza e dedicato a “La presa del potere”
TRIESTE Sarà la Rivoluzione cubana di Fidel Castro la protagonista della conferenza che lo storico Loris Zanatta, introdotto dal giornalista de “Il Piccolo” Roberto Covaz, terrà domenica alle 11 al Teatro Verdi (ingresso libero con prenotazione online su Ticketpoint e presso il punto vendita in Corso Italia 6) all’interno del ciclo Lezioni di Storia ideato dagli editori Laterza, promosso dal Comune di Trieste e organizzato con il contributo della Fondazione CRTrieste e di cui Il Piccolo è media partner.
La vicenda della presa del potere di Castro prende il posto della ‘Rivoluzione giacobina’, che il professor Luciano Canfora doveva trattare domenica prossima e che viene rinviata al 22 maggio.
Professor Zanatta, Fidel Castro per la sua Rivoluzione prese ispirazione da qualcuno?
«“Prima si prende il potere, tutto il potere, poi si fa la rivoluzione”: così fece Fidel Castro, così insegnò ai suoi tanti emuli, da Hailé Mariàm Menghistu a Hugo Chávez, da Robert Mugabe a Daniel Ortega. Tradotto: prima si crea una grande coalizione “democratica” contro il nemico comune, nel suo caso la dittatura di Fulgencio Batista. Dissimulando gli obiettivi, promettendo di restaurare la Costituzione violata. Poi, rovesciato l’autocrate, si prende man mano il controllo di forze armate e polizia, della stampa e dell’economia, dei sindacati e della scuola. Infine, chiuse le porte alle spalle, sbarrate le vie di fuga, tacitate le voci stonate, si sferra il colpo finale, si concentra tutto il potere: un popolo, una patria, un leader. Non l’aveva imparato da Lenin, ma da Curzio Malaparte, la “miglior penna del fascismo”, autore di “tecnica del colpo di Stato”».
Con queste premesse sembra che il marxismo ci azzecchi poco.
«Difatti i rivoluzionari non invocarono mai le ferree leggi postulate dal “materialismo storico”. La loro fu semmai un’epopea religiosa, una crociata contro l’eresia, il riscatto dell’Oriente rurale e cattolico, povero e analfabeta, contro l’Occidente urbano e secolare, prospero e istruito, la rivolta della Cuba ispanica contro la Cuba liberale e capitalista, “contaminata” dalla malapianta protestante e statunitense. Ridotta all’osso, la loro narrazione fu una parabola biblica: c’era una volta un popolo puro e innocente, il contadino dell’Oriente cubano “nato in un presepe come Gesù”. Ma eccolo cacciato dall’Eden e corrotto dalla modernità, contagiato dai “vizi” della borghesia. Finché un profeta non giunse a redimerlo, a liberarlo dalla schiavitù e condurlo alla terra promessa».
E la mitologia rivoluzionaria? L’assalto al Moncada, lo sbarco del Granma, la guerriglia sulla Sierra, l’offensiva di Santa Clara?
«Tutto vero, ma un po’ distorto e molto gonfiato. Il primo fu un attacco suicida, la rivoluzione aveva bisogno di martiri. Il secondo un naufragio, sopravvissero in sette. La terza fu poca cosa, appena ottocento uomini due mesi prima del trionfo, la guerra la fecero i militanti urbani, lontani mille chilometri; i soldati del Che Guevara erano alcune decine, vinsero sparando appena contro un esercito sul punto di arrendersi. Più che una marcia trionfale la rivoluzione fu uno scacco matto politico, più che un capolavoro militare il collasso di un regime, più che la sollevazione di un popolo l’avvento di un redentore».
Sessant’anni dopo, come si può interpretare l’impresa di Fidel Castro?
«Come ogni grande evento storico, la rivoluzione cubana è una fabbrica di miti, un ricco serbatoio di leggende in cui l’epica rifiuta la prosa, le luci cancellano le ombre, gli eroismi le miserie. Miti e leggende coltivate dai protagonisti prima e da milioni di apostoli poi. Dalla sua memoria sono così scomparse le scabrose intese coi politici corrotti, gli atti di terrore, le urne incendiate, i regolamenti di conti interni, gli aiuti militari esterni, l’uso della stampa “yankee” come arma di propaganda, le promesse da marinai».
Una fabbrica di miti fondata anche sulla violenza.
«Se per fare la rivoluzione bisognava prendere tutto il potere, per prendere tutto il potere ogni mezzo era lecito. La violenza doveva obbligare la dittatura a reagire con ancor più violenza. Ma la violenza serviva anche a sbarrare la via ai negoziati, a una transizione pacifica verso la democrazia. Per avere tutto il potere occorreva vincere con le armi, decapitare l’intera classe politica. Guai a chi tentò di mediare, a chi predicò elezioni, ai militari che cercarono compromessi. Violento e scaltro, geniale e spietato, messianico e bugiardo, Fidel Castro prese il potere. Era soltanto l’inizio». —
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