I triestini aprono le porte di casa per accogliere chi fugge dall’Ucraina: le voci delle famiglie pronte a offrire ospitalità
foto da Quotidiani locali
TRIESTE I triestini aprono le porte di casa ai profughi. In tanti. Con uno slancio di generosità e sensibilità affatto scontate, soprattutto dopo due anni di pandemia, che ci hanno fatto tenere quelle porte più chiuse di prima. Al momento la maggior parte dei cittadini ucraini transitati attraverso i nostri valichi ha proseguito il viaggio verso altre città, e qui per ora non risultano persone alloggiate da famiglie cui non siano legate da un rapporto di parentela o amicizia. Ma in tanti tra Trieste e Gorizia in questi giorni hanno deciso di contattare la Caritas, le parrocchie, le associazioni impegnate nel volontariato e nell’accoglienza, per dare la propria disponibilità a ospitare chi fugge dalla guerra, infoltendo lunghe liste della solidarietà.
Tra di loro c’è Kristina Piliarova, con suo marito Maurizio e i due figli, che hanno contattato don Alessandro Cucuzza della parrocchia Beata Vergine Addolorata di Valmaura. «Ci siamo messi a disposizione - spiega Piliarova - perché ne abbiamo sentito l’urgenza: dopo giorni passati a commuoverci davanti alla tivù abbiamo pensato che le lacrime non bastano». Piliarova è slovacca, suo marito italiano. Vivono a Trieste da poco, dopo aver abitato a Istanbul per motivi di lavoro. Hanno due figli, una ragazza di 14 anni e un ragazzo di 12. «Sono rimasta sconvolta da questa guerra - spiega la donna -. Vedere immagini di tale distruzione e sofferenza a due passi da qui mi addolora profondamente e mi fa sentire impotente. Come si può restare indifferenti davanti a una mamma che scappa con i suoi figli? Ma ammetto che per un paio di giorni ho tenuto per me questa urgenza, perché temevo che la mia famiglia non avrebbe condiviso lo stesso pensiero: si tratta pur sempre di accogliere a casa tua qualcuno che non conosci».
Poi, racconta ancora Kristina Piliarova, quei timori sono stati vinti: «Stavamo cenando e il tema è uscito spontaneamente, ci siamo parlati ed eravamo tutti d’accordo. I miei figli mi hanno chiesto perché non avessi condiviso prima con loro questa mia volontà. Abbiamo pensato che viviamo in una casa spaziosa, con una camera per gli ospiti quasi sempre libera: perché non dare ospitalità a qualcuno che ne abbia bisogno? Per me è un dovere morale, oltre che un sincero desiderio venuto dal cuore».
Poi la ricerca di un contatto, per capire come procedere. «Ci siamo rivolti a un’associazione di volontariato, che ci ha dato il contatto di don Cucuzza - racconta -. Non frequento la chiesa quindi non lo conoscevo, ma l’ho chiamato subito, e con mio marito abbiamo chiesto di essere inseriti in una lista di famiglie che hanno dato disponibilità ad accogliere nel caso i numeri dei rifugiati dovessero aumentare. Sono persone che scappano da una guerra alle porte di casa nostra, e davanti alle quali non voglio voltarmi dall’altra parte. Io mi sento una cittadina europea, e qui stiamo assistendo a morte e distruzione nel cuore dell’Europa. Davanti alla possibilità di aprire le porte di casa a una mamma che fugge - continua - non ho alcun timore. Trieste è meravigliosa; ha una storia di dolore alle spalle e guarda a Est: da qui, da questa prospettiva, non si può non sentire di voler aiutare».
Tra coloro che vorrebbero ospitare c’è anche Enrico, residente a San Giacomo, che da molti anni conosce il parroco di Borgo San Sergio, don Paolo Iannaccone, cui si è rivolto per capire come procedere. «Sono credente e sento il bisogno di aiutare - spiega -. Ovviamente la decisione va condivisa appieno con la famiglia, con la quale stiamo discutendo in questi giorni, ma la mia volontà è forte. Non abbiamo una casa grande, ma se qualcuno ha bisogno ci si organizza, si può dormire sul divano o trovare altre soluzioni, e anche se tali scelte impattano sulla quotidianità - commenta - credo che davanti a simili tragedie non si possa rimanere immobili. Tutte le guerre sono terribili e tutti i profughi hanno bisogno di aiuto: già in passato, davanti alle immagini dei migranti ammassati nei campi profughi in Grecia ho pensato di aiutare in qualche modo. In questo caso la spinta è ancora più forte, perché le bombe cadono vicino a noi e vediamo, nel popolo in fuga, persone come noi: potrebbe succedere anche qui una simile ingiustizia, e questo muove corde molto profonde». —
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