Giallo di Trieste, il legale del fratello di Liliana: «La scienza non ha risolto il caso, la Procura ascolti amici e parenti dei Visintin»

TRIESTE. «Dopo due mesi dal ritrovamento del cadavere la scienza non è riuscita ancora a darci dei risultati certi, ci ha dato poco, quindi serve un’indagine sui fatti, cercando anche tracce psicologiche».

Nicodemo Gentile, presidente dell’associazione Penelope e legale del fratello di Liliana Resinovich, Sergio, probabilmente già in settimana depositerà in Procura una memoria che colleziona le tante informazioni e indicazioni raccolte dai consulenti di parte attraverso le testimonianze di oltre una decina di persone vicine a Liliana o comunque alla coppia Visintin.

«Alla Procura chiederemo, nei casi dove non è stato fatto, di sentire queste persone», anticipa Gentile. Il legale ritiene sia «fondamentale procedere, parallelamente all’accertamento tecnico, anche a quello sulle condizioni di Liliana, sul suo stato emotivo e su tutte le tracce psicologiche che possono dirci quale era l’assetto della coppia, quali erano i comportamenti tenuti dai protagonisti di questa triste vicenda prima, durante e dopo la scomparsa di Liliana, anche tenendo conto che tra le ipotesi in campo c’è pure quella del suicidio».

Tra le persone incontrate in questi giorni dai consulenti di Penelope ci sono parenti e amici che avevano contatti stretti con Liliana e con il marito Sebastiano Visintin e che hanno vissuto da vicino la coppia.

Così, ad esempio, sono stati ascoltati gli amici residenti in via Udine dove Liliana e il marito avevano cenato il 13 dicembre scorso, poche ore prima della scomparsa della donna.

E poi i vicini di casa – già ascoltati anche dagli investigatori della Squadra Mobile a cui il pm Maddalena Chergia ha affidato le indagini –, le ex colleghe di Liliana e un’amica che fino al giorno prima si è scambiata messaggi e fotografie con la 63enne.

Tra le testimonianze raccolte c’è anche quella di una coppia di Gorizia. Marito e moglie, amici di lunga data dei Visintin, che si sono esposti anche nella scorsa puntata della trasmissione” Chi l’ha visto?”, raccontando come già pochi giorni dopo la scomparsa di Liliana, quando il corpo non era ancora stato trovato e si muovevano le prime ricerche, Sebastiano con loro parlasse di suicidio.

Gli amici e i familiari di Liliana, nei racconti fatti ai consulenti nominati dall’associazione Penelope, non riferiscono di una Liliana sofferente, con comportamenti anomali, cambiata, che facesse uso di farmaci antidepressivi.

«È vero che la mente umana è insondabile – constata Gentile –, eppure anche chi l’ha incontrata pochi giorni prima del 14 dicembre, ne parla come di una persona serena, tranquilla».

«A mio avviso – aggiunge – indagare sui fatti in un momento in cui gli accertamenti tecnici, come può capitare, non riescono ancora a restituire certezze scientifiche, è doveroso.

Non sempre i risultati scientifici sono la panacea per risolvere un giallo, e non sempre sono risolutivi, e questo può dipendere da diversi fattori: tempi di ritrovamento del cadavere, condizioni del corpo, effettuazione del sopralluogo e qualità del sopralluogo. Insomma, la scienza senza il fatto spesso è aria fritta».

Gentile, che anche attraverso Penelope ha seguito casi di cronaca che hanno avuto importante eco mediatica, evidenzia come ci siano stati dei casi in cui la scienza, invece di risolvere i dubbi, li ha complicati.

Gentile, assieme all’avvocato Walter Biscotti, ha difeso il l’ivoriano Rudy Guede nel processo per la morte a Perugia di Meredith Kercher, «e lì la scienza ha prodotto un guazzabuglio», afferma.