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Март
2022

A Vasylkiv i cani abbaiano, i missili arrivano. Uno al minuto, dove cadranno?

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A Vasylkiv i cani abbaiano, i missili arrivano. Uno al minuto, dove cadranno?

IL REPORTAGE. A Vasylkiv, la porta d’accesso a Kiev, l’inviata del Tirreno ha assistito alla distruzione di un deposito militare. «Ma i russi non passeranno» dice Seriy, il capo della resistenza che non dorme dall’inizio dell’invasione

VASYLKIV. Il primo missile si schianta nei campi alle sette del mattino ora locale (alle sei in Italia). I cani iniziano ad abbaiare e scattano le sirene antiaereo. Troppo tardi. Il secondo non sbaglia il bersaglio: centra in pieno un deposito pieno di armi e munizioni a quattro chilometri dal centro di Vasylkiv, città di 37mila abitanti a 38 chilometri a sud di Kiev. Parte un incendio che non finisce più, ma nessuno prova a spegnerlo: troppo rischioso e anche inutile. E non è finita. Chi vive qui già lo sa, che ne seguiranno altri quattro.

Nelle basi russe sono piazzati lanciatori contenenti sei missili Kalibr. Partono uno ogni minuto circa. Ecco il primo. I vetri delle stanze tremano. I cani, fuori, continuano ad abbaiare. Il fischio precede la bomba ma non aiuta a sapere quando e, soprattutto, dove cadrà. Di nuovo in un campo? Dentro una casa? O sopra questo hotel? Poi il secondo, il terzo e il quarto, l’ultimo. Le sirene smettono di suonare e tutti corrono in strada a guardare le colonne di fumo alzarsi per capire cosa stia bruciando. Si capirà subito che i missili sono finiti sulla base aerea. Questa volta non vengono colpiti edifici, non ci sono vittime, ma la città ha già seppellito i suoi civili: una coppia di anziani, morta carbonizzata una decina di giorni fa in una palazzina con la sfortuna di trovarsi vicina a un obiettivo militare. Prima di colpire quell'edificio, i missili russi avevano demolito la scuola di fronte, un istituto tecnico vuoto solo perché le lezioni, in Ucraina, sono sospese.

Il bombardamento di un deposito militare a Vasylkivfoto da Quotidiani localiQuotidiani locali

Vasylkiv, nonostante sia piccola, è una città strategica. Per Putin, conquistarla significherebbe anzitutto avere un accesso diretto a Kiev, dove intanto le milizie ucraine si stanno preparando all’attacco scavando trincee ai bordi delle strade e alzando barricate con tutto quello che può essere usato a fermare i tank russi: blocchi di cemento, vecchi binari arrugginiti, cassonetti dei rifiuti pieni di sabbia, anche autobus e treni che adesso non servono e chissà quando riserviranno. Ma la città a sud di Kiev ospita un aeroporto militare ed è sede di uno dei quattro centri di controllo della difesa aerea dell’Ucraina. Non a caso le prime bombe russe, a fine febbraio, sono cadute proprio qui: prima sopra un deposito di petrolio, rischiando di provocare un irreparabile danno ambientale, poi direttamente sulle case.

Le truppe russe nei giorni scorsi hanno provato a sfondare i check point, ma sono stati respinti dalla resistenza ucraina che qui porta il nome di Seriy Biryukov, 48 anni, presidente della ong Vidsich, un passato da combattente in Donbass (contro i filo-russi). E’ stato lui a mettere in piedi, nella casa della cultura, una base militare con tanto di ospedale, ristorante aperto 24 ore su 24 e gratis per tutti e un centro smistamento di aiuti umanitari. Non dorme mai, non da quando è iniziata la guerra. Chiude gli occhi qualche minuto al giorno, seduto sulla sedia del suo ufficio e quello per lui è già tempo perso. “Gli aiuti che riceviamo li teniamo qui in questo centro e poi li diamo a chiunque me faccia richiesta. E ne abbiamo tante di richieste: diventa sempre più difficile trovare prodotti alimentari e per l’igiene”, racconta. Non ha la divisa militare e qui è una rarità. Ha un maglione di lana azzurro, gli occhiali da vista e modi da gentiluomo che tradiscono il suo passato in trincea. “Storicamente questa è una città importante per la Russia. Per questo insiste”, spiega il giorno prima del nuovo attacco, dal centro dove entrano ed escono di corsa decine di uomini con i loro kalashnikov. Sono militari di professione, ma soprattutto volontari. Ex commercianti o dipendenti pubblici diventati combattenti per difendere la città. Tutti si fidano e affidano ciecamente a Biryukov. Anche la polizia locale segue i suoi ordini. “Per me è un onore lavorare al suo fianco. È un uomo con una storia enorme alle spalle”, dice Serjy Verys, 50 anni, che prima della guerra – perché qui già si parla del prima della guerra – guidava tram. Oggi si occupa della vigilanza nell’ospedale allestito in quello che prima era il dietro le quinte del teatro. “Curiamo i feriti nei combattimenti ma anche chiunque lo chieda”.

Le sirene a Vasylkiv non suonavano da giorni, ma tutti si aspettavamo un nuovo attacco. Da giovedì sera i droni russi sorvolavano la zona della base militare, di sera, dalle 21 in poi, quando le luci erano spente per il coprifuoco che in questa zona di Paese scatta alle 20. A Un chilometro di distanza nel cielo, controllavano, registravano, ma, come sempre, se è chiaro che un missile sta per essere sganciato, dove è quando nessuno lo sa. Per questo i bimbi ospitati nei sotterranei del centro, venerdì, il giorno prima dell’attacco, sono stati evacuati. A coordinare l’evacuazione c'era Kuzina Marin, 30 anni, una delle poche militari donne di professione all’appello. Dopo quella giornata ha deciso di adottare un bimbo orfano. “L’ho conosciuto qui, mi sono subito affezionata e ho pensato che, in questa guerra, dovesse nascere qualcosa di buono”.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA




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