Sul confine di Fernetti tra lacrime, ricordi e dolci per i bimbi
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Sale il flusso di passaggi sul valico tra Trieste e Slovenia. In molti offrono la spesa a chi si ferma
TRIESTE. «Ero rientrata in Ucraina da cinque anni dopo aver lavorato per tanto tempo in Italia. Ho fatto tanti sacrifici per guadagnare abbastanza da acquistare una casa e tornare finalmente a vivere nel mio Paese. Invece sono dovuta fuggire di nuovo, abbandonando ancora una volta i miei cari».
Mentre parla, Julia non riesce a trattenere le lacrime. È una giovanissima nonna fuggita da Leopoli con le tre nipotine e il marito. Ha lasciato lì il genero, il nipote di 19 anni e il figlio, che sono stati arruolati. «Fino a qualche giorno fa non c’era pericolo, ma quando hanno bombardato una base militare vicino alla nostra città, facendo 35 morti e 130 feriti, abbiamo preso paura. Gli allarmi hanno iniziato a suonare ripetutamente, abbiamo deciso di scappare e portare al sicuro almeno parte della famiglia. Ma il pensiero va di continuo ai miei cari che sono dovuti rimanere lì. Vorrei uccidere Putin con le mie mani, ha distrutto tutto ciò per cui ho lottato nel corso della mia vita».
Siamo al valico di Fernetti, il flusso di veicoli con targa ucraina o dei paesi limitrofi è in continuo aumento: chi fugge dalla guerra arriva in grossi pullman, in minivan attrezzati col rimorchio per i bagagli, in auto private, alcune di marchi prestigiosi, i bagagliai stipati all’inverosimile. La maggior parte di loro è partita dall’Ucraina orientale e centrale, molti arrivano da Kiev e dai villaggi intorno alla capitale. Ma c’è anche chi, come Julia appunto, è fuggito da Leopoli, dopo il bombardamento che ha raso al suolo la base militare vicino al confine con la Polonia. E c’è pure chi è scappato dalla Moldavia, per il timore che l’avanzata russa non si fermi al confine.
A bordo dei veicoli ci sono principalmente donne e tanti bambini e adolescenti. Polizia, carabinieri ed esercito vigilano sugli ingressi, controllando i documenti di chi transita in suolo italiano. L’Unhcr è a disposizione per fornire informazioni ai rifugiati, la Protezione civile coi suoi volontari è presente da due settimane nel parcheggio accanto al confine, spalla a spalla con le forze dell’ordine, con un gazebo dove mette a disposizione generi di prima necessità - acqua, succhi, gallette, pane, sapone, cibo in scatola - e tanti prodotti per l’infanzia, dai pannolini ai pennarelli colorati, dai peluche ai cioccolatini. E sono numerosi anche i triestini che si presentano - testimoniano i volontari - chiedendo di cosa i fuggiaschi possano aver bisogno per poi tornare con borse della spesa pronte da offrire.
Le nipoti di Julia si avvicinano intimorite al banco della Protezione civile: i volontari forniscono alla donna una borsa con gli alimenti da lei richiesti e regalano alle ragazzine tre uova di Pasqua. Finalmente si aprono in un sorriso.
Ma gli sguardi sono stanchi, impauriti e ancora increduli. Vladislav arriva poco dopo a bordo di una grossa Audi. Accanto a lui la moglie, sul sedile posteriore le due figlie, due graziose bambine dai capelli biondi. Il bagagliaio è stracolmo. «Siamo fuggiti da una situazione pazzesca e pericolosissima. Veniamo dal villaggio di Severinovka, 270 chilometri da Kiev: i russi hanno bombardato le case, ci siamo salvati perché ci eravamo rifugiati nel seminterrato. Ormai Kiev è accerchiata, noi scappiamo verso Dublino, in Irlanda, lì abbiamo degli amici che ci possono aiutare», racconta mentre mostra sul telefonino foto di distruzione, le case dei vicini e la sua stessa abitazione ridotte a un cumulo di macerie. «Non so se torneremo mai a casa, nel nostro villaggio», dice con rassegnazione quando gli si chiede del futuro.
Elena è fuggita con le sue due bambine e il marito dai dintorni di Kiev per raggiungere la Moldavia. Da lì sono riusciti a trovare un pullman che li ha portati, insieme a una quarantina di connazionali, fino in Italia. «Siamo scappati con le bambine e una valigia, non siamo riusciti a prendere altro. Abbiamo resistito il più possibile prima di decidere di andare via, ma i bombardamenti erano continui e ormai vivevamo in uno scantinato per tutto il tempo. La mia figlia maggiore ha l’asma, lì non si trovano più neanche le medicine. Per i bambini è troppo pericoloso restare: andremo a Napoli dalla nonna», spiega con un filo di voce. «Questa guerra non se l’aspettava nessuno. È tutta colpa della politica, cosa c’entra la povera gente?».
Tra quanti arrivano al confine c’è anche chi è in fuga dalla Moldavia: Giuseppe Tartaro, originario del sud Italia, è andato in fretta e furia a recuperare lì la moglie e i due bimbi. «La Moldavia è il prossimo obiettivo di Putin - dice -. Non potevo lasciare lì la mia famiglia».