Secchia e Panaro ai minimi. Coldiretti: «L’agricoltura rischia di rimanere schiacciata: di fatto non piove da quattro mesi»
Nessuna previsione di pioggia. Niente neve in montagna. Intanto cala sempre più l’acqua nei fiumi. È sempre più grave, causa siccità, la secca del Po lungo il suo corso e fino al Delta.
Secchia e Panaro sono dunque in secca. Due giorni fa il Tiepido alla Fossalta misurava solo 0,20 metri. Altezza caviglia, insomma. Bassissima la portata d’acqua anche per il vicino Panaro che se al Ponte di Sant’Ambrogio (via Emilia) misurava 0,70 metri, poco più avanti al ponte di Navicello scendeva a 0,18 per risalire a Bomporto a 0,93. Gli indici Arpae indicavano per Vignola addirittura -012 metri. Quanto al Secchia al ponte di Marzaglia (via Emilia) ieri misurava 0,90 metri e poco più avanti Freto e verso il bacino delle Casse di espansione 0,30. Come si vede, profondità davvero infime.
Siamo entrati in una fase critica della siccità, lo conferma anche Luca Borsari, presidente di Coldiretti Modena che abbiamo interpellato.
«La situazione dei fiumi è drammatica. Quanto alle precipitazioni, non ci ricordiamo quasi neanche più come sono le piogge. Qui non piove da quattro mesi. Per capire il momento, la riserva delle acque fluviali a Modena attuali è di -40% rispetto alla media. Dovrebbe essere la nostra scorta legata alla piovosità e agli accumuli di neve che si sciolgono, ma mancano entrambi. Rispetto agli ultimi vent’anni siamo a livelli da record negativo».
Qual è la situazione di Secchia e Panaro?
«Sono equivalenti, anche se sono diversi come tipologia fluviale. Il bacino del Panaro è più largo e ha disponibilità diverse ma sono carenti entrambi. Oggi abbiamo un problema in agricoltura perché il rischio gelo comporta l’utilizzo dell’acqua per gestire l’antibrina. Quindi, siamo già in necessità di acqua per tutelare le nostre eccellenze agricole, come i peri, che hanno bisogno di esser protette dagli sbalzi di temperatura e questa è oggi l’unica tecnica conosciuta».
Avete delle limitazioni per l’utilizzo delle acque fluviali?
«Possiamo attingere in base agli accordi con la Regione considerando le disponibilità idriche del momento. Parlo della Bonifica di Burana, più vicino a Modena. Stiamo ricevendo l’acqua del Po. E per fortuna sono stati fatti investimenti per prenderla in contropendenza e portarla fino a Nonantola e nelle zone a nord della Via Emilia. Ed è l’unica possibilità, dato che col Panaro non si può pescare. L’obiettivo è cercare altre possibilità per la conduzione e la tutela agricola, soprattutto in soccorso dalle gelate. Oggi Modena riceve acqua dal canale emiliano-romagnolo».
Siamo già a un punto critico?
«Sì. Siamo già in una fase in cui i campi soffrono. L’erba medica, il fieno, sta già crescendo. Se non viene a piovere a maggio i campi sembreranno più un prato inglese che da sfalcio. Le prime colture sono quelle che soffrono di più la carenza idrica. Se continua così bisognerà cercarlo da fuori con tutti i problemi che comporta una modifica della filiera del Comprensorio del Parmigiano Reggiano. Per fortuna abbiamo allevatori che hanno messo da parte il fieno».
Cosa si può fare di più?
«Dobbiamo prendere atto del fatto che il cambiamento climatico non è un fenomeno passeggero. L’esigenza di cambiare approccio alla gestione delle acque è un fatto. Oggi raccogliamo il 10% delle acque piovane che per il resto finiscono in mare. Dobbiamo cambiare punto di vista per la gestione delle piogge. Quando vengono non dobbiamo farcele scappare. Dobbiamo accumularla e creare nuovi bacini. Utilizzare la cave dismesse, soprattutto quelle a sud della via Emilia. Entrare insomma in una logica geo-climatica ottimale. La mentalità deve cambiare, altrimenti non è più possibile proseguire».
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