Guerra Russia-Ucraina, Biden chiama i leader europei: “Trattative se fermano le armi”
Il presidente Usa a colloquio con Draghi, Johnson, Macron e Scholz. Palazzo Chigi: «Garantire il funzionamento dei corridoi umanitari»
La linea si può riassumere cosi: se prima non si fermano le armi, la trattativa non potrà decollare. Vladimir Putin non ha dato prova di affidabilità, dunque se vuole un accordo con l’Occidente occorrono segnali. Ieri pomeriggio - era la terza volta in una settimana - Joe Biden si è confrontato coi quattro grandi alleati europei sulla situazione in Ucraina. Come già era accaduto lunedì scorso, c’erano Boris Johnson, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi, appena rientrato da una visita a Napoli per incontrare la comunità ucraina della città, una delle più grandi in Italia. I commenti di Biden subito dopo il contatto confermano la volontà di tenere alta la pressione su Mosca: «Non leggo niente nelle parole della Russia, aspetto di vedere i fatti. Abbiamo concordato di vedere quel che ha da offrire, ma nel frattempo continuiamo con le sanzioni e gli aiuti militari a Kiev, perché si possa difendere». Washington non si fa abbindolare dalle promesse di de-escalation, soprattutto se consumate a parole. Troppe volte - è accaduto la scorsa settimana - da Mosca sono arrivati segnali smentiti dalle armi. Il messaggio recapitato nei cinquantatré minuti con gli alleati è quello di mostrarsi altrettanto fermi. Il segretario di Stato Antony Blinken lo dice esplicitamente durante la visita in Marocco: «Un conto è quel che la Russia dice, un conto è quel che fa. Noi siamo concentrati su quel che fa». Le voci secondo le quali Mosca accetterebbe l’ingresso di Kiev nell’Unione europea, o gli annunci di un «drastico ridimensionamento» delle attività militari sulla capitale ucraina sono tutti segnali da non sottovalutare, ma niente di più. Anzi, semmai mostrano la difficoltà crescente di Mosca a combattere su più fronti. E’ ormai chiaro che Putin ha rinunciato a prendere il controllo dell’Ucraina, e punta ad annettere la striscia di territorio che dalle due repubbliche separatiste raggiunge la Crimea.
Una fonte diplomatica italiana sintetizza così la situazione diplomatica: «Non possiamo consentire a Putin di trattare la fine della guerra mentre guadagna terreno sul campo, qualunque esso sia. Non è possibile». Non è un caso se nel comunicato della Casa Bianca e - per restare in Italia - in quello di Palazzo Chigi non c’è alcun riferimento alle trattative in corso in Turchia. E non è un caso se Draghi ha per ora rinunciato a ristabilire un contatto telefonico con lo Zar. Chi ieri lo ha fatto - il presidente francese Macron - non ha ottenuto nulla, nemmeno l’accesso umanitario necessario a far evacuare i civili assediati a Mariupol. Per inciso, una delle città chiave della trattativa. Al Dipartimento di Stato e alla Casa Bianca si chiedono perfino se gli emissari di Putin stiano trattando in nome e per conto dello Zar, o se viceversa ci siano forzature nella prima linea dei generali per spingerlo a trattare.
Una cosa a Washington appare certa: le sanzioni stanno funzionando, soprattutto sulle forniture tecnologico. Ed ha funzionato il no unanime dell’Europa al diktat di pagare il gas russo in rubli. Finché le armi russe non si fermeranno, Biden è deciso a continuare ad aiutare gli ucraini a difendersi, con nuovi mezzi e perfino con l’addestramento dei loro soldati in Polonia. Ieri il presidente ha spedito a Londra il numero due del Tesoro Wally Adeyemo con il mandato di stringere ancora di più sulle sanzioni e bloccare fino in fondo la catena delle forniture per l’industria bellica. Il prossimo passo saranno coloro i quali - non solo in Russia - aiutano gli oligarchi a nascondere beni. Altri due indizi confermano la linea dura. Il primo: la Nato ha invitato al prossimo Consiglio Atlantico dei ministri degli Esteri Ucraina, Georgia, Finlandia e Svezia. Il secondo: Olanda, Irlanda, Repubblica Ceca e Belgio hanno espulso decine di diplomatici sovietici accusati di spionaggio.
Alle cancellerie europee tocca nel frattempo gestire le conseguenze del conflitto. Per accelerare lo stop al gas russo gli alleati hanno chiesto a Washington uno sforzo per aumentare le forniture di gas liquido. Blinken sta tentando - per ora senza grandi risultati - di convincere le monarchie del Golfo ad aumentare la produzione di petrolio. Più difficile spingere Washington a farsi carico di gestire l’enorme afflusso di profughi in fuga dalla guerra, il peggior esodo dalla seconda guerra mondiale. Gli Stati Uniti ne accoglieranno solo centomila, una frazione dei milioni che si stanno distribuendo nei confini europei. Ieri il comunicato di Palazzo Chigi sottolineava la particolare attenzione «al funzionamento dei corridoi umanitari e all’assistenza ai crescenti flussi di rifugiati». Nelle stesse ore il premier firmava il decreto per la protezione temporanea dei profughi. Avranno diritto ad un permesso di soggiorno per un anno da prorogare al massimo per un secondo. —
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