Guerra Russia-Ucraina: il gruppo di Visegrad a pezzi, solo Orban rimane con Putin
Varsavia: tiene più al gas a prezzo basso che al sangue degli ucraini. Cancellato il vertice a 4: polacchi, cechi e slovacchi vicini agli Usa
L’Ungheria è stata costretta a cancellare il summit dei ministri della Difesa del gruppo di Visegrad – in programma oggi e domani a Budapest – dopo la presa di posizione di Praga e Varsavia contro la linea filo Putin di Orban. «Gli ungheresi tengono più al gas a prezzo calmierato che al sangue degli ucraini», ha detto la ministra ceca Jana Cernochova qualche giorno fa innescando poi la catena di reazioni che ha fatto dire lunedì sera a Mariusz Blaszczak, ministro della Difesa polacco, che non sarebbe andato a Budapest. Da qui la decisione di posticipare a data da destinarsi il summit.
È una crepa profonda, non del tutto inattesa, quella nel fronte dei V4: granitici nell’osteggiare la redistribuzione dei migranti e nella difesa dei loro valori, ma divisi sul rapporto con Mosca. Polonia e Ungheria hanno sempre avuto un approccio diametralmente opposto verso gli ex “dominatori” russi: di diffidenza e ostilità a Varsavia; di collaborazione e complicità in Ungheria, tanto che l’analista Péter Krekó si spinge a parlare di sintonia ideologica fra Putin e Orban. Jaroslaw Kaczysnki, vice premier e ideologo di PiS, è andato a Kiev da Zelensky, Orban è andato da Putin il 2 febbraio. Più distanti di così i due “vecchi” amici non potrebbero essere.
Uno degli uomini più vicini a Orban, Zoltan Kovacs, a chi qualche tempo fa gli faceva notare la diversa percezione della Russia a Varsavia e Budapest, replicava: “Ognuno dei V4 segue la sua visione, non ci sono assolutamente problemi”. Ma lo scrittore ceco Jiri Pehe aveva teorizzato che Visegrad sarebbe implosa attorno alla Russia e ai suoi corollari. Orban, ad esempio, con la legge sulla doppia nazionalità del 2011, ha contribuito a radicalizzare le tensioni con l’Ucraina. Nella regione della Transcarpazia vivono 200mila magiari cui Kiev nega il diritto di parlare nei luoghi pubblici nella lingua nativa. Il braccio di ferro esploso nel 2017 ma già latente dalla guerra in Crimea, ha portato Budapest a porre il veto alla partecipazione di Kiev ai consessi Nato, che sarebbe invece stata gradita a Varsavia dove la comunità ucraina – ben prima della guerra – arrivava a oltre 1 milione di migranti.
Quale sbocco prenderà la crisi dentro i V4 e fra i due maggiori azionisti resta tuttavia difficile da prevedere. Kaczysnki tre giorni fa aveva detto “non gradire la posizione di Orban sulla Polonia”, ma aveva invitato ad attendere “le elezioni di domenica 3 aprile”. La Fidesz è in testa nei sondaggi di appena due punti sulla coalizione guidata da Peter Marki-Zay.
Ad oggi però Orban e il governo di Varsavia corrono su strade opposte: il magiaro ha sostenuto 4 round di sanzioni europee, ma poi ha elogiato nel discorso del 15 marzo in cui si celebra la rivolta del 1848, l’equidistanza ungherese: dalla Russia, dall’Ucraina, dalla Ue e dagli Stati Uniti. E proprio gli Usa sono una variabile nelle dinamiche intra-Visegrad. Il presidente Biden – spiegano fonti diplomatiche – ha dato un endorsement al presidente Duda. Ma Washington ha posto delle condizioni alla Polonia per il suo appoggio: ovvero il rispetto dello stato di diritto. Gli Stati Uniti non si fidano di Kaczynski, ritenuto troppo nazionalista e portatore di un messaggio integralista sul tema dei diritti e della democrazia. Duda è più malleabile e ha già cassato due leggi assai radicali su media e istruzione arrivate sulla sua scrivania, incassando il plauso Usa.
I big dell’Amministrazione nell’ultimo mese sono stati in Polonia. E hanno portato aiuti e sostegno in tutti i Paesi dell’est della Nato, dalla Slovacchia alla Romania. Nessuno è stato in Ungheria. Quasi un paria negli Usa. Il premier paga la vicinanza con Trump e con la galassia della destra Usa. Il rapporto di Freedom House colloca inoltre l’Ungheria fra “i regimi ibridi”, a lento scivolamento verso l’autocrazia. Non un segnale incoraggiante nel cuore dell’Europa. E questo Biden lo ha rimarcato non invitando Budapest al Summit delle Democrazie di dicembre.
Se la Polonia ha una spiccata vocazione atlantista, l’Ungheria è tiepida. Nel celebre discorso del 26 luglio 2014 a Tusnadfurdo quando teorizzò la “democrazia illiberale”, Orban sottolineò i danni della globalizzazione e la crisi dei costumi attribuendo al modello consumistico americano parte della responsabilità. Allora si lesse il suo discorso in chiave anti-Obama, oggi quelle parole assumono sfumature più ampie. La sua abitudine a muoversi e a fare affari con chiunque, da Xi a Putin, da Erdogan alla Ue in nome di un pragmatismo nazionalista, non è ritenuta idonea in un mondo come quello dipinto da Biden dove a fronteggiarsi sono democrazia e autocrazia. Qualche giorno fa Zelensky ha apostrofato Orban perché contrario a dare armi all’Ucraina e a inasprire le sanzioni: “Viktor, deciditi, da che parte stai”? Orban sta con l’Ungheria. Più solo e senza la sponda Kaczysnki. Almeno fino a domenica.