La guerra spaventa i Balcani: “Mosca vuole influire anche qui”
Nella regione ci sono Stati interessati a stare con il Cremlino, come Ungheria e Serbia. Altri in bilico: la Bulgaria. E dopo trent’anni cresce il terrore di un nuovo conflitto
È stato quando hanno sentito Putin usare la parola «genocidio» che nei Balcani occidentali hanno cominciato a tremare. La stessa parola, che sentivano rivolta ora nei confronti degli ucraini, era stata usata dalla Serbia per giustificare l’aggressione in Croazia e Bosnia-Erzegovina nel 1990. E anche la stessa propaganda, la stessa logica, le stesse strumentalizzazioni. Se nel prossimo futuro l’idea di proteggere dei cittadini residenti fuori dai propri confini – così come la Russia vorrebbe fare in Ucraina - dovesse diventare una realtà, chi impedirà, per esempio, ai separatisti della Repubblica serba di Bosnia di rivendicare l’indipendenza dalla Bosnia-Erzegovina per annettersi alla Serbia? O a Viktor Orban – ancora ossessionato dal trattato del Trianon – di “proteggere” quegli ungheresi che vivono fuori dall’Ungheria, in Transilvania (Romania) o in Slovacchia, o nella stessa Ucraina al confine con i Carpazi?
I primi in Europa ad essersi resi conto del pericolo di una rinnovata influenza di Mosca nei Balcani e del rischio di una nuova destabilizzazione sono stati gli austriaci, che nel corso dell’ultimo incontro con gli americani, il 24 marzo scorso a Bruxelles, hanno affrontato la questione in modo molto esplicito. Il cancelliere Nehammer, insieme ai colleghi di Polonia, Lussemburgo, Lettonia, Cipro, Svezia e Spagna, si è rivolto direttamente a Joe Biden: «L’Austria ha investito molto nel destino dei Paesi dei Balcani occidentali e nel loro percorso verso l'adesione all’Ue – ha detto –. Ora si tratta di mettere in atto misure volte a garantire che i Balcani occidentali non diventino una sfera di influenza della Federazione Russa o di altre grandi potenze, come la Cina».
La rielezione di Alexander Vucic in Serbia – ex ministro di Milosevic, nazionalista che col tempo si è spostato verso un centrodestra apparentemente più moderato – è il primo fattore di preoccupazione: da sempre, in linea con la Russia, sostiene il principio di integrità territoriale della Serbia nel caso del Kosovo (di cui ancora non riconosce l’indipendenza proclamata nel 2018), ma nel caso dell’Ucraina si è mostrato molto più sfuggente. Non ha potuto non riconoscerne il diritto alla sovranità, ma non ha aderito alle sanzioni contro la Russia, in nome della difesa degli interessi nazionali. In patria, i tabloid vicini al suo governo annunciano l’arrivo di Putin nei Balcani, ipotizzando che «potrebbe inviare forze militari per unificare la Serbia e la repubblica serba di Bosnia», e le sue rassicurazioni all’Occidente che si tratta soltanto di qualche esagerazione mediatica suonano ogni giorno meno convincenti.
Anche Orban, che ieri ha dovuto ammettere che l’Ucraina è stata aggredita, non rinuncia però ai suoi legami con Mosca, sia per il fatto che questo non gli ha impedito di essere rieletto, sia perché intende “autonomizzarsi” dai Paesi del gruppo Visegrad ribadendo la propria linea (al punto da spezzare l’unità europea accettando di pagare il gas russo in rubli, come da richiesta del Cremlino).
«La leva utilizzata da Putin nei Balcani è la corruzione», ha detto a Biden nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo il primo ministro bulgaro Kiril Petkov, che sta faticando a tenere il suo Paese con la barra puntata verso occidente, a causa di una maggioranza di governo composta da nazionalisti e socialisti filorussi. «Putin lavora con le élites politiche – ha spiegato Petkov al presidente americano – e attraverso un sistema di corruttele li porta a investire su progetti che lo interessano. Questo – ha aggiunto – rende della massima importanza lavorare per la stabilità dei Balcani occidentali perché l’influenza russa è ogni giorno più forte».
Non ha aiutato, in questi anni, la dolorosa lentezza del processo di adesione dei Balcani Occidentali all’Unione Europea, che ha favorito l’emergere di nazionalismi e la nascita di un sentimento di frustrazione in quei governanti che vi hanno scommesso il loro futuro politico e hanno fatto della narrativa europeista la promessa per un futuro migliore. «Se ci invadessero i russi forse potremmo entrare in Europa più facilmente?», è la battuta che circola con maggiore insistenza tra le cancellerie di Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, nella stessa Bosnia.
Il fatto che la Nato, nelle ultime settimane, abbia approvato importanti aumenti di forze nell’Europa orientale, in particolare Slovacchia, Ungheria, Bulgaria e Romania, ha aumentato la tensione nell’area. A Sarajevo, la scorsa settimana, è arrivato un contingente Eufor di 500 unità con il compito di rassicurare la popolazione sul fatto che non ci saranno aggressioni di alcun tipo. C’è stata una cerimonia con dispiegamento di forze aeree e battaglioni di soldati. Ma no, nessuno si è sentito rassicurato.