Lezioni “miste” ai positivi, i dubbi di medici e pediatri che devono dare l’ok: il caos della didattica digitale integrata
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Lo Stato chiede ai dottori l’ok per l’alternanza tra scuola online e in presenza. Agrusti (Fimmg): norma incomprensibile
UDINE. Una nuova «spada di Damocle» sull’assistenza sanitaria dei cittadini e, soprattutto, «un pasticcio burocratico» che rischia di scaricare sui medici di base «un ulteriore carico di adempimenti a causa di una certificazione incomprensibile tanto nella ratio quanto nella sua attuazione pratica».
L’allarme è firmato dalla Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) rappresentata a livello nazionale dal segretario Silvestro Scotti e in Friuli Venezia Giulia da Fernando Agrusti e riguarda l’ultima circolare emessa dal ministero dell’Istruzione in relazione alla didattica digitale integrata che fa proprio quanto compreso nel decreto legge del 24 marzo.
La circolare dispone che gli alunni delle scuole primarie, secondarie di primo e secondo grado, e del sistema di istruzione e formazione professionale in isolamento in seguito alla positività al Covid, possano seguire l’attività scolastica nella modalità della didattica digitale integrata, cioè in quella forma mista di lezioni online e in presenza.
Questo può avvenire su richiesta della famiglia oppure dello studente, se maggiorenne, accompagnando la domanda con una specifica certificazione medica attestante le condizioni di salute dell’alunno assieme alla piena compatibilità delle stesse con la partecipazione al sistema delle lezioni online.
Al medico di famiglia, quindi, non spetterebbe l’attestazione della positività dell’alunno – demandata ad altra istituzione –, bensì la semplice constatazione, o meno, della compatibilità delle condizioni di salute degli alunni in isolamento con la partecipazione alla didattica integrata.
Ed è qui che si creano, secondo Scotti e Agrusti, i problemi. «Prima di tutto – attaccano – i medici dovrebbero certificare lo stato di salute dei pazienti senza visitarli, e sarebbe impossibile perchè commetterebbero il reato di falso, oppure sarebbero costretti a esporsi inutilmente al rischio di contagio visto che parliamo di positivi già acclarate. Un’opzione impensabile per un mero atto burocratico».
Senza dimenticare, andando oltre, il lato finanziario. «Non essendo contenuti in alcun accordo in essere – concludono – i costi del certificato, almeno teoricamente, ricadrebbero sulle spalle delle famiglie».
Per questo, in sintesi, Scotti e Agrusti chiedono al ministero dell’Istruzione «un intervento per la revisione del comma del decreto legge interessato».