Irina, l’ex campaign manager di Navalny aiuta gli ucraini a fuggire dalla guerra: “I russi capiranno i crimini di Putin”
A Tblisi, in Georgia, ha fondato l’associazione Helping to Leave ed è nata su azione spontanea di alcuni attivisti il giorno stesso dell’invasione russa in Ucraina
A Tblisi, in Georgia, una comunità composta da dissidenti politici e professionisti fuggiti dalla Russia fornisce assistenza h24 per aiutare gli ucraini sotto le bombe a espatriare. L’associazione si chiama Helping to Leave ed è nata su azione spontanea di alcuni attivisti il giorno stesso dell’invasione russa in Ucraina.
Tra le responsabili del progetto, c’è Irina Fatyanova, ex campaign manager dell’antagonista politico di Putin, Alexei Navalny, e candidata indipendente a San Pietroburgo prima di fuggire in Georgia dalla repressione governativa.
Dopo le proteste contro il governo e l’arresto dei suoi ex colleghi, gli interrogatori, le perquisizioni e le denunce ricevute, Fatyanova ha lasciato il Paese quando il governo ha intentato una causa da 4 milioni di rubli contro di lei per aver «comportato lavoro straordinario alla polizia nel corso delle manifestazioni che ha coordinato».
Come Fatyanova, politici, giornalisti, artisti e dissidenti russi, a poche ore dall’invasione dei confini ucraini, hanno deciso di aiutare gli sfollati a uscire del Paese attraverso un’assistenza telematica continua, la diffusione di informazioni verificate, la fornitura di farmaci, di alloggi temporanei, sostegno psicologico e raccolta fondi. Tutto è partito da una chat su Telegram: «Il primo giorno di guerra, tre donne, Naturiko Miminoshvili, Yulia Lyutikova e Nastya Zavyalova, hanno creato un canale Telegram che nell’arco di due ore aveva 500 iscritti e oggi ne conta 100.000. Qui sono iniziate a circolare notizie e richieste di aiuto dal Paese invaso» racconta Fatyanova che poi aggiunge: «Dall’Ucraina la gente ha iniziato a chiederci: “Come ce ne andiamo? Cosa facciamo? Come facciamo a sistemare i nostri documenti?”».
In poco più di un mese, i volontari coinvolti sono diventati oltre 200, sono stati formati e oggi forniscono assistenza 24 ore su 24 attraverso un bot che smista le richieste di aiuto. Come riporta il sito dell’associazione, il processo che permette di aiutare una persona a lasciare l’Ucraina costa circa 100 euro tra biglietti di viaggio, cibo, medicine, operazioni chirurgiche e assistenza legale. I finanziamenti avvengono tramite raccolta di donazioni da tutto il mondo, anche sotto forma di criptovalute. Ad ora, Helping to leave ha ricevuto più di 2.000 aiuti economici e raccolto più di 170.000 euro per aiutare gli ucraini.
Fondamentale per assistere i profughi è la collaborazione con le organizzazioni locali di volontariato ucraine, ma le complicazioni non mancano. «Ci sono regioni come Mariupol, Kherson, Chernigov e alcune città vicino a Kyiv quasi impossibili da lasciare. Inoltre, bisogna fare i conti con l’evacuazione forzata degli ucraini da parte dell'esercito russo nel territorio della Federazione Russa o nel territorio dell’Ucraina occupato dalla Russia», spiega Fatyanova.
A unirsi al progetto sono quelli che Fatyanova chiama leavers, attivisti politici e sociali provenienti dalla Russia, ma anche persone comuni: tutti ugualmente a rischio. «Si tratta – racconta – di persone che hanno protestato contro la guerra, partecipato a manifestazioni e che sono state multate o incarcerate per questo, così come chi è stato accusato di violazioni amministrative e penali per i post sui social con le parole “No alla guerra”. Per non parlare degli accademici, dei creativi, dei professionisti dell’informatica e dei designer. Le persone migliori del Paese, coraggiose e brillanti. In questo momento c’è un enorme flusso di cervelli che sta lasciando la Russia. Intere aziende se ne stanno andando, aziende che hanno iniziato nuovi e interessanti progetti nel Paese e sono cresciute non grazie, ma nonostante il governo. È molto triste da vedere, ma tutti loro torneranno quando Putin se ne andrà».
Insieme a coloro che lasciano la Russia, stanno scemando anche le proteste nelle piazze, mentre chi resta cerca di adottare forme di dissenso pacifiche alternative. «Le proteste di massa ora comportano enormi rischi per i partecipanti: un semplice manifestante con in mano un foglio di carta in bianco corre il rischio di essere perseguito penalmente e di subire una lunga pena detentiva. Ci sono molte persone in Russia che non sostengono la guerra, anche se alcune di loro sono emigrate nell’ultimo mese e mezzo. Molti di quelli che non sono più in Russia aiutano gli ucraini, vanno alle proteste in altri Paesi, diffondono la verità nei social media e aiutano le organizzazioni per i diritti umani - afferma Fatyanova - Questo è un enorme contributo alla fine della guerra e allo sviluppo della futura libertà di una società civile in Russia».
Per Fatyanova una cosa è certa: «Prima o poi, coloro che sono stati in silenzio e che hanno sostenuto il regime si renderanno conto dei crimini commessi da Putin contro l'Ucraina dopo anni di violazione dei diritti dei cittadini russi. Allora scenderanno in piazza».