Lega, Bitonci non si candida a Padova e in Veneto tira aria di resa dei conti
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L’ex sindaco ha sostenuto Peghin sbarrando la strada a Marcato ma ora si sfila. Sale la tensione nel Carroccio
PADOVA. Da grande oppositore a convitato di pietra: Massimo Bitonci non concorrerà alle elezioni comunali di Padova. La circostanza, filtrata da ambienti del centrodestra e non smentita dal parlamentare, ha il tenore della presa di distanza dalla coalizione che candida a sindaco Francesco Peghin e, ancor più, alimenta ulteriori tensioni nel turbolento arcipelago leghista.
In proposito, c’è chi allude a divergenze insanabili circa la conduzione della campagna, tali da indurre Bitonci alla rinuncia previa un confronto “a muso duro” con lo staff dell’imprenditore civico padovano.
Altri, più sbrigativamente, attribuiscono il passo indietro all’esito dei sondaggi, vistosamente favorevoli al primo cittadino uscente Sergio Giordani e - chiosano i maligni – al suo “ventriloquo” dem Massimo Bettin.
La mission di Peghin, in verità, sembra nata sotto una cattiva stella. A dar voce al dissenso leghista circa la sua candidatura, ancor prima dell’ufficialità, il j’accuse di Marcello Bano: «Purtroppo, arrivati a Roma, alcuni esponenti del partito hanno perso il contatto con il territorio e gli amministratori, a Padova è stato calato dall’alto un candidato che è la brutta copia di Giordani, per provare a giocarcela io avrei scelto Roberto Marcato tutta la vita», le sue parole.
Correva il 14 gennaio e il coordinatore veneto Alberto Stefani reagì furioso, ventilando l’espulsione del sindaco di Noventa (una minaccia, ad oggi, rimasta sulla carta) ma la sortita evidenziò il vasto malessere interno - rinfocolato dalle critiche alla leadership salviniana espresse dall’europarlamentare Gianantonio Da Re e dal veterano Fulvio Pettenà - vanificando sul nascere l’obiettivo di una soluzione condivisa, capace di compattare le energie in vista di una corsa in salita. Né la linea prevalsa nell’alleanza ha rasserenato gli animi.
L’esclusione dalla lista Peghin dei consiglieri uscenti potrebbe spingere personalità di centro quali Ubaldo Lonardi e Davide Meneghini a cercare asilo nel simbolo della Lega: l’ingresso garantirebbe una dote di consensi personali significativi salvo innescare una competizione spietata con gli esponenti di spicco del Carroccio - Alain Luciani, Vanda Pellizzari, Eleonora Mosco – per nulla inclini a cedere il passo.
Arduo, peraltro, scindere il caso Padova dalla tornata del 12 giugno che chiamerà alle urne anche i capoluoghi di Verona e Belluno. Il braccio di ferro a distanza, una volta ancora, impegna i colonnelli di Matteo Salvini e i seguaci di Luca Zaia. Da una parte i citati Bitonci e Stefani, con un gruppetto di dirigenti provinciali battaglieri e il senatore Andrea Ostellari (presidente della commissione giustizia e commissario del partito in Emilia Romagna) in posizione più defilata.
Sul versante opposto, oltre al “bulldog” Marcato - escluso dalla partita padovana et pour cause, nel timore che un eventuale successo ipotecasse la sua successione al governatore, ci sono il plotone dei consiglieri regionali e un gran numero di sindaci, in primis Mario Conte, l’astro nascente di Treviso.
Nel mezzo, muti come pesci, i parlamentari nostrani, timorosi dell’effetto combinato (riduzione dei seggi, calo progressivo dei voti) che nel 2023 promette di appiedare gran parte degli uscenti.
Ma nelle sezioni è già tempo di congressi, un preludio all’elezione dei segretari provinciali – gli autentici caporioni nel territorio - in attesa del test amministrativo che, giurano le vecchie volpi, segnerà l’avvio della resa dei conti. —
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