Autonomia per il Veneto, l’altolà della Corte dei conti. «L’impatto economico non è valutabile»
La relazione dei magistrati contabili: impossibile valutare l’efficienza del trasferimento di competenze alle Regioni
VENEZIA. Dalla Corte dei conti arriva un giudizio assai critico sulla ventata di federalismo cavalcata dalle regioni: a 4 anni dalle preintese firmate il 28 febbraio 2018 tra il governo Gentiloni e il Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna non «risultano ancora individuate le materie da trasferire e molte di quelle competenze riguardano profili legislativi privi di effetti finanziari». E non esiste alcun calcolo che indichi quali siano i vantaggi nel trasferimento dei poteri dai ministeri alle regioni. Cosa significa? Che siamo all’anno zero. Anche se la ministra Gelmini ha inserito la legge quadro sull’autonomia differenziata nel collegato al Def approvato mercoledì dal governo Draghi.
Un atto che lascia intendere che il provvedimento nelle prossime settimane arriverà a palazzo Chigi per essere poi trasmesso al Parlamento. In aula si annunciano le barricate, come ha ribadito giovedì Paola Nugnes nel question time al Senato: l’ex M5S parla di «processo disgregativo dell’identità nazionale a danno del Mezzogiorno. Ci vuole uno stop immediato alle pretese di tre regioni ricche».
La ministra Mara Carfagna nella sua risposta ha ribadito che l’autonomia differenziata può decollare solo dopo aver approvato i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. E ha indicato negli asili nido il primo traguardo da raggiungere con il Pnrr entro il 2026 per creare servizi sociali omogenei in Italia.
Un passo alla volta. Le preintese del 2018 firmate dal sottosegretario Bressa con Zaia, Bonaccini e Maroni riguardano cinque materie: la sanità, l’ambiente, la pubblica istruzione, le politiche del lavoro e rapporti con l’Unione Europea, materia quanto mai delicata visti i risvolti di politica estera. Quegli accordi sono finiti in archivio perché i ministri Erika Stefani (Lega), Francesco Boccia (Pd) e ora Mariastella Gelmini (Fi) hanno allargato il negoziato a tutte le 23 materie, come chiesto da Zaia e Fontana sulla spinta dei loro referendum costati 10 milioni di euro al Veneto e 40 alla Lombardia. Ad alzare il muro del no il M5S con il premier Conte dal 2018 a febbraio 2021.
Poi la pandemia Covid e ora la guerra in Ucraina hanno cambiato la gerarchia delle priorità, ma il dossier Bressa è finito all’esame della Sezione centrale della Corte dei conti. E il giudizio diffuso da una nota dell’Ansa invita a riflettere. I rilievi riguardano il processo di autonomia differenziata 2013-18 sulle «politiche del lavoro, della formazione e istruzione». Ad oggi, rileva la magistratura contabile, «non risultano ancora individuate le funzioni da trasferire e molte delle competenze da attribuire riguardano profili legislativi e/o amministrativi privi di effetti finanziari. In mancanza di presupposti per misurarne gli effetti – specifica ancora la Corte – alcune delle amministrazioni non hanno potuto fornire gli elementi di analisi sulle possibili conseguenze finanziarie legate al trasferimento di funzioni tra Stato e regioni. E non sono riuscite a quantificare le risorse umane, strumentali e finanziarie eventualmente coinvolte. Ne consegue l’assenza di un quadro d’insieme sugli effetti dell’attuazione del regionalismo differenziato. E al tempo stesso esiste l’impossibilità di valutare l’efficienza degli interventi con il trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario», conclude la Corte dei Conti. La ministra Gelmini non ha voluto replicare a questi rilievi.
La bozza Bressa è figlia del governo Gentiloni ma in questi 4 anni sono circolate due “intese apocrife” mai approvate con cui si è tentato di quantificare le risorse in gioco. Procediamo per ordine. La sanità è gestita dalle Regioni con il fondo nazionale con 121 miliardi di euro e quindi non fa parte del negoziato. La discussione ha coinvolto la scuola, che il Veneto e la Lombardia volevano plasmare con graduatorie ad hoc sul modello di Trento e Bolzano. La trattativa è decollata con l’ex ministro Marco Bussetti (Lega) e le cifre in gioco sono 2,4 miliardi per il Veneto e oltre 4 per la Lombardia. La commissione nominata dalla ministra Gelmini ha bocciato la devolution dei prof perché in contrasto con la Costituzione e le 23 materie chieste da Zaia non saranno mai concesse. Federalismo a costo zero? Pare proprio di sì. Soldi da regalare alle Regioni non ce ne sono. —