PIOMBINO. L’Asl condannata a un maxirisarcimento. Una sentenza del tribunale civile di Livorno riapre il caso delle morti sospette all’ospedale Villamarina, causate da somministrazioni eccessive e non autorizzate di eparina. Un anticoagulante che tra il 2014 e il 2015 ha provocato 14 decessi nel reparto di terapia intensiva e rianimazione dell’ospedale di Piombino. Dopo che lo scorso gennaio la giustizia penale ha assolto in secondo grado l’infermiera Fausta Bonino «per non aver commesso il fatto», ora arriva dalla giustizia civile una batosta rivolta all’Azienda sanitaria. Condannata a risarcire le eredi di una delle vittime dell’eparina, Bruno Carletti, l’ultima in ordine di tempo, per mancato controllo all’interno del reparto e sull’accesso alla struttura sanitaria.
La sentenza è del 6 aprile, firmata dal dottor Luigi Nannipieri. E condanna l’Asl a versare ai familiari di Carletti 400mila euro suddivisi tra la moglie e le due figlie. Al tribunale la moglie di Carletti, Vera Benedetti, e le figlie Brunella e SabrinaCarletti, si sono rivolte tramite gli avvocati Matteo Brogioni, Fausto Bianchi e Mario Ceccarelli, chiedendo giustizia.
Facciamo un passo indietro. È il 28 settembre 2015: all’ospedale Villamarina si ricovera Bruno Carletti, 74 anni, ex operaio della Magona in pensione. Deve sottoporsi a un intervento al femore per una caduta da tre metri. Un’ operazione routinaria, ma dall’ospedale non uscirà più. La sera stessa del 28 settembre Carletti viene operato, al rientro in reparto la ferita sanguina molto e dagli esami ematici il Pt risulta non coagulabile, alle 1,10 del 29 settembre viene dichiarato morto per «shock refrattario post operatorio». Nei campioni ematici successivi vengono trovate tracce evidenti di eparina.
A Villamarina da quattro mesi sono iniziate le indagini dei Nas su alcune morti sospette, tre provocate lo stesso anno dalla somministrazione di dosi eccessive di eparina, altre otto l’anno precedente dovute allo stesso farmaco. Carabinieri e Asl non riescono a capire cosa succede in quel reparto, così si decide di tendere una trappola: vengono fatte sparire tutte le fiale di eparina, tranne una, lasciata nel carrello dei medicinali. Ma non è sufficiente: Bruno Carletti muore nella notte del 29, poco dopo l’una. Nel sangue aveva valori di eparina superiori di 4 o 5 volte rispetto a quelli che vengono trovati in chi usa il farmaco per motivi terapeutici. «La responsabilità dell’Asl – commenta l’avvocato Brogioni – emerge in maniera esorbitante, per le modalità del controllo sulla struttura ospedaliera e nello specifico sul reparto di rianimazione, che ha procedure d’accesso ancora più restrittive. Le carenze all’epoca dell’ospedale di Piombino erano emerse anche dall’ispezione della commissione nominata dal ministero della Salute, sotto il profilo organizzativo, gestionale e operativo».
Brogioni aggiunge che «quando è avvenuto il decesso di Carletti il reparto era già attenzionato», la sua morte si inserisce infatti nell’ambito di una serie di decessi anomali dovuti «alla somministrazione di anticoagulanti al di fuori delle prescrizioni mediche». Per quelle morti è stata imputata l’infermiera del reparto Fausta Bonino, condannata in primo grado ma assolta lo scorso gennaio in appello. «Questo non esclude che ci siano altri responsabili», commenta Brogioni. Una richiesta arrivata anche da tanti familiari di altre vittime. «Ma le mie assistite – aggiunge l’avvocato - hanno presentato causa soltanto all’Asl, chiedendo conto delle procedure di controllo. La resposabilità della struttura sanitaria era emersa nella relazione dell’agosto 2016 della commissione nominata dal ministero della Salute».
Altro elemento determinante la correlazione tra la morte di Carletti e l’eparina, confermata da consulenti terzi nominati dal tribunale.
Il giudice ha condannato l’azienda Usl Nord Ovest al pagamento di 150mila euro a favore della moglie di Carletti e 125mila euro ciascuno per le figlie. Ha condannata l’Asl anche al pagamento delle spese processuali.
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