Contrasto al caporalato: arrestate tre persone, sequestrati beni per 80mila euro e perquisiti 23 imprenditori agricoli

Tutto è partito da Portomaggiore, esattamente nell'ottobre 2020, quando nel centro della cittadina scoppiò una violenta rissa tra cittadini di nazionalità pachistana. Si pensò a futili motivi e invece dietro a quelle botte si nascondeva qualcosa di molto, molto più grosso portato alla luce dai  carabinieri del nucleo operativo e radiomobile di Portomaggiore e del gruppo tutela lavoro di Venezia. Quella sera  alcuni lavoratori si ribellarono allo sfruttamento e diedero vita ad una rivolta inaspettata. Ieri i militari hanno eseguito un'ordinanza di custoia cautelare a carico di tre cittadini pachistani, domiciliati nel portuense, per i reati in concroso tra loro di Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, Caporalato, rissa e calunnia. L'operazione ha interessato anche le province di Rovigo, Padova, Venezia e Ravenna.

Due anni fa la rissa scoppiò perché un ragazzo minacciò di parlare, di denunciare e di andare a lavorare in aziende dove sarebbe stato assunto regolarmente. Convinse anche alcuni sui amici  a fare lo stesso e in tre andarono dai carabinieri. Una rivolta inaccettabile tanto che i "capi" decisero di dare la giusta lezione. I carabinieri diedero subito il via ad una serie di indagini mirate che hanno portato al sequestro di 2 appartamenti dove abitavano gli operai a Portomaggiore, dei conti correnti degli arrestati,  di 10 veicoli utilizzati per il reclutamento e trasporto dei lavoratori e numerose carte di credito.

Denunciati anche 23 imprenditori agricoli, 18 della provincia di Ferrara, a cui viene contestato di aver assunto, utlizzato ed impiegato manodopera mediante l'attività di intermediazione illecita sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Tra le contestazioni agli arrestati, il trattenimento dell'intero salario giornalieri dei lavoratori ritenuti indisciplinati e la corresponsione della quota dello stipendio in nero sotto forma di sporadiche elargizioni. Ma anche, se non soprattutto, la minaccia di ritorsioni (rivolte anche ai familiari rimasti in patria) e l'uso della violenza fisica anche nei campi.