Il letterato che fece rinascere Trieste usando il dialetto e le grandi mostre

Il dramma in triestino sui fuochisti del Lloyd divenne uno spettacolo della Contrada

TRIESTE Non ha avuto dubbi Roberto Damiani quando iniziò la sua carriera di docente di Letteratura italiana moderna contemporanea all'Università di Trieste: dedicare il proprio impegno di studioso alla sua città. Erano, i primi Settanta, anni in cui la letteratura cittadina veniva letta in una prospettiva europea e in cui i suoi due massimi esponenti, Svevo e Saba, ricevevano attenzioni da studiosi internazionali. Roberto Damiani decise di allargare il canone della triestinità, occupandosi di questi ma anche di altri scrittori per tenere vive problematiche proprie di questo territorio di frontiera, seppur di respiro altrettanto ampio: Silvio Benco, romanziere dannunziano e irredentista di primo Novecento; Fulvio Tomizza, che portò all'attenzione internazionale il dramma dell'esodo, fino ad allora pressoché sottaciuto; Renzo Rosso, interprete della sottile angoscia circolante in questa città martoriata nel secondo dopoguerra da vendette trasversali e sede dell'unico campo di concentramento nazista italiano; Giani Stuparich, dalla sofferta esperienza di due conflitti mondiali. E guardava anche ai territori contigui, confrontandosi con Elio Bartolini, cantore di vita friulana, o con Carlo Sgorlon, esploratore delle varie etnie linguistiche regionali.

Né trascurava il suo interesse verso le arti figurative, amico come era di artisti e pittori. Tuttavia per il dialetto triestino e i suoi poeti, da Virgilio Giotti a Manlio Malabotta, aveva una particolare predilezione, tanto da pubblicare nel 1976 un volume di “Poesia dialettale triestina: Antologia 1875-1975”, il primo di altri suoi lavori sul tema. E in dialetto pensò di scrivere lui stesso: insieme all'amico Claudio Grisancich reinventò un episodio famoso della storia triestina con “A casa tra un poco (1902 - el siopero dei foghisti del Lloyd)”, pièce che venne messa in scena al teatro La Contrada, sempre nel 1976. In un breve giro di anni affiancò alla sua attività di storico della cultura quella di scrittore, firmando testi teatrali e sceneggiature radiofoniche, mentre cominciava ad acquisire vari incarichi pubblici, che lo spingevano verso un'attività per molti versi estranea alla dimensione letteraria.

Si assunse dunque il compito di dirigere la International School of Trieste, fondata anche per offrire ai figli degli scienziati qui provenienti da tutto il mondo la possibilità di studiare in una lingua per loro più familiare, l'inglese. Da Paolo Fusaroli, rettore dell'Università di Trieste, ebbe poi la Delega per le Relazioni internazionali ed esterne dell'Ateneo. Damiani aveva infatti una buona attitudine alla comunicazione e sapeva far buon uso delle diverse opportunità mediatiche che gli si fossero presentate. Nonché di conciliare, negoziare, ricomporre. Non tanto per uno studioso quanto per un politico erano qualità d'oro, che infatti gli permisero di affrontare numerosi impegni sul piano istituzionale, a partire dal 1993.

Sostenitore della candidatura di Riccardo Illy alla carica di sindaco, fu il suo vice per entrambi i mandati, ricoprendo contemporaneamente anche il ruolo tecnico di Assessore alla Cultura e poi allo Sport. Non solo, dal 1994 al 2001 presiedette il "Rossetti", il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Così, unendo le competenze culturali e l'abilità politica, fece "rinascere" Trieste, che sotto la sua guida divenne meta per schiere di visitatori internazionali, disposti a far la fila per vedere le rassegne allestite alle Scuderie del Castello di Miramare, negli spazi del Revoltella e di altre sale cittadine. Mostre come quella su Ebla, su Sissi d'Austria, o manifestazioni come Shalom Trieste sulla cultura ebraica, per non parlare di esposizioni pittoriche, rimangono ancora vive nella memoria della città.

Altre iniziative, come la ripavimentazione di piazza Grande con un sistema di led luminosi blu, a ricordo dell'antico mandracchio interrato, suscitarono consensi e al tempo stesso attacchi polemici, da cui sapeva ben districarsi, come nelle questioni politiche. Entusiasta presenzialista, impeccabile nei suoi pregevoli abiti sartoriali, lo si vedeva tagliare nastri, tenere discorsi inaugurali o celebrativi di ogni genere, imperturbabile sotto il cocente sole estivo o le fredde bore invernali. Accanto ad estimatori ed amici, contava però numerosi detrattori e nemici, come sempre accade ai personaggi in vista. Gli era sembrato naturale infatti, dopo due mandati da vice, candidarsi a sindaco, ma un'inchiesta giudiziaria mise fine a quella meditata aspirazione. Le accuse caddero, ma ebbero poi pesanti ripercussioni sulla sua salute. Ripiegò candidandosi nel 2001 alla Camera dei Deputati, dove ebbe l'incarico di segretario della commissione Politiche dell'Unione Europea e quello di Presidente del Gruppo misto nella Commissione Cultura. Data la sua esperienza municipale come esponente della lista Illy, fu eletto presidente del "Governo" civico, organo esecutivo del Coordinamento Civico Nazionale, la federazione delle liste civiche. Nonostante la mole degli impegni politici, non aveva mai del tutto abbandonato la sua prima passione, l'interesse per la cultura triestina, che seguiva da vicino seppur non sempre in prima persona. Scriveva dunque racconti, raccolti in sillogi dai titoli letterariamente allusivi come “In nuovi dolcissimi accordi”.

Ma la malattia, che cominciò a manifestarsi dopo il suo ingresso in Parlamento, non gli lasciò scampo. Certo, con il Parkinson imparò a convivere, ma aveva ormai consapevolmente imboccato la strada del declino. Più che mai gli venne in soccorso, ora che la politica poteva gestirla solo da lontano, il suo sapere umanistico, che nel passato l'aveva aiutato a capire oltre che le proprie, anche le debolezze dell'avversario e che ora gli mostrava l'unico percorso possibile, quello di un dignitoso ritiro: “I miei sono solo messaggi nella bottiglia, ai quali si sa ... è improbabile la risposta”, è il titolo significativo del suo ultimo romanzo, in cui imprevedibili intrecci di amore e politica restituiscono il senso di una vita in un inizio millennio di crisi economica e di valori.