Corpi sdraiati a terra, urla lacrime e canti di speranza In 500 al corteo degli ucraini a Trieste
TRIESTE. Una massa di corpi sdraiati a terra e un minuto di silenzio per commemorare la strage di civili in Ucraina. Poi urla di dolore, lacrime di sofferenza, canti e l’orgoglio per i soldati che stanno combattendo per difendere quel paese.
In 500 ieri sera hanno preso parte al corteo che partendo da piazza San Giacomo ha raggiunto viale Romolo Gessi. Madri, mogli, nonne, tanti bambini. C’erano soprattutto loro, ieri, a gridare «Gloria all’Ucraina! Gloria ai nostri eroi!»
Nella piazza, prima che il corteo si avvii, i bambini hanno sistemato a terra dei giocattoli. Alcuni orsetti erano macchiati di rosso, a simboleggiare il sangue e quell’infanzia spezzata, massacrata di molti piccoli ucraini.
«Noi siamo i sopravvissuti – hanno spiegato alternandosi al microfono alcune delle donne che hanno organizzato l’iniziativa –, siamo qua con i nostri bambini e qui, grazie a dio, non cadono le bombe. Ogni ucraino inizia la giornata con una preghiera per chi è rimasto nelle nostre città, per quanti stanno lottando, combattendo. Siamo lontani da casa, ma con il cuore siamo con i nostri soldati, con quei poveri bambini e con gli anziani costretti a vivere nei sotterranei».
Un ringraziamento è stato poi rivolto a Trieste, all’Italia e all’Europa «che stanno aiutando il nostro paese e accogliendo i profughi. L’Ucraina, in verità, fa da scudo per tutti i popoli, paga per tutti, e il mostro va fermato, va distrutto».
Tante le bandiere gialle e azzurre, dipinte anche sui volti, sulle mani. Tanti gli abbracci, gli sguardi di affetto, lo scambio di parole per tentare di dare conforto a chi più di altri ieri sera manifestava la sua sofferenza. Non sono mancati anche slogan come «Putin assassino!» e «A morte chiunque ammazza i bambini». È stato ricordato l’importante impegno degli intellettuali, degli artisti, «perché la guerra si combatte anche con parole e musica».
L’iniziativa, monitorata da polizia e carabinieri, è stata composta e non ha registrato incidenti. Un unico momento di tensione c’è stato quando una donna ha rivolto l’invito a non generalizzare parlando dei russi. Uno scambio acceso di parole, incomprensibili per chi non conosceva la lingua ucraina, e poi la donna si è allontanata. «Io sono dell’Ovest dell’Ucraina, vivo da vent’anni a Trieste – ci ha spiegato a margine di quel diverbio – e ho sottolineato come non sia giusto coltivare odio verso tutto il popolo russo, ma il mio pensiero non è stato apprezzato, anzi è stato contestato».
Giorni fa, Luba Koval, una giovane donna ucraina residente a Trieste, aveva invitato l’intera città a partecipare a quello che, di fatto, poteva tradursi in un abbraccio a questa comunità colpita al cuore dal conflitto. Ma Trieste, in questa occasione, non ha risposto. Ieri il resto della città non c’era, e non c’era neppure la politica. Nel corso di tutto il corteo, un’unica donna affacciandosi ad una finestra in via Schiapparelli ha accennato un applauso, poi il silenzio e anche un po’ di indifferenza tra le gente che per strada si imbatteva nel corteo.
Arrivati in viale Romolo Gessi, i partecipanti hanno acceso dei lumini, sistemati poi a terra, mentre alcune persone intonavano dei canti ucraini. Piccole fiammelle di speranza, di pace.