L’appello del vescovo di Trieste: la Pasqua della rinascita doni la pace pure fra noi
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Monsignor Crepaldi: «La guerra divide, il Vangelo unisce. E anche in città, dopo le fratture sociali della pandemia, serve una stagione di riconciliazione»
TRIESTE Il vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi lancia un «obbligato» appello alla pace in occasione di questa Pasqua. Alla luce della pandemia, della guerra in Ucraina e delle questioni sociali che attraversano anche il nostro territorio, il tema della pace risulta infatti estremamente attuale: «Sta al cuore del messaggio cristiano, e ne qualifica le istanze, anche sul piano pubblico». Dopo la partecipata processione alla Domenica delle Palme, adesso la Pasqua, la prima Pasqua di ritrovata comunità dalla comparsa del Covid.
Si può celebrare il ritorno alla vita normale dopo la pandemia? Che cosa hanno rappresentato questi due anni per i fedeli?
«Come per tutti, anche per la comunità cattolica di Trieste l’esperienza della pandemia è stata molto sofferta e, per certi versi, traumatica. Si sono infatti dovute fare limitazioni alla partecipazione di persone e famiglie alle celebrazioni liturgiche, aggregative, catechistiche e formative. Soprattutto, è venuto meno un elemento caratterizzante dell’esperienza cristiana, quello relazionale. L’alta partecipazione di fedeli alle celebrazioni della Settimana Santa è interpretabile come risposta a una sentita esigenza di ritorno alla normalità. Tuttavia, accanto ad alcuni effetti disgregativi sugli assetti psicologici e sociali indotti dai due anni di pandemia, soprattutto per i giovani e le famiglie, personalmente ho anche registrato un diffuso bisogno di interiorità. Si è espresso nella riscoperta della preghiera e in uno sviluppo di responsabilità sociale che ha trovato espressione in mille iniziative di solidarietà».
Nel frattempo in Europa è ritornata la guerra, tanto che quest’anno lei dedica il suo tradizionale messaggio pasquale alla pace.
«Con la guerra nel cuore dell’Europa, il tema della pace nel mio messaggio pasquale era, in qualche modo, obbligato. D’altronde, la prima cosa che Gesù annuncia ai suoi discepoli, quando li incontra, dopo la sua risurrezione, è proprio la pace. Essa sta al cuore del messaggio cristiano e ne qualifica le istanze, anche sul piano pubblico. Grande e appassionato interprete ne è oggi Papa Francesco. Purtroppo inascoltato».
Il Pontefice ha scelto di far partecipare una ragazza russa e una ucraina, assieme, alla via Crucis. Che ne pensa?
«Una scelta profetica che ha la fragranza del Vangelo di Gesù. La guerra divide e uccide, il Vangelo unisce e fa vivere. La guerra alimenta l’odio, il Vangelo l’amore. Al di là di ogni polemica, la scelta di Papa Francesco è anche un’indicazione forte per tutti coloro che sono chiamati a operare sullo scenario politico-istituzionale, allo scopo di riportare la pace in quella sfortunata area dell’Europa».
Negli ultimi mesi Trieste e l’Italia sono state attraversate da fratture sociali, che si sono manifestate nella maniera più visibile con le proteste contro Green pass e obbligo vaccinale, ma che spesso sono arrivate a portare divisione anche dentro le famiglie, le case delle persone. Qual è il suo punto di vista su tutto questo?
«Anch’io mi sono trovato spesso in mezzo a due fuochi, lacerato interiormente dall’esercizio di un discernimento complicato. Purtroppo, invece di alimentare il dialogo sociale, la pandemia ha accentuato pericolose polarizzazioni e divisioni, con effetti disgregativi che perdurano. Bisognerebbe aprire una stagione di pacificazione. Anche se questo auspicio mi sembra un bisbiglio impercettibile nel baccano conflittuale in cui siamo costretti a vivere la nostra quotidianità».
Passando all’oggi, Trieste ha davanti a sé importantissime sfide di sviluppo, di cui il Porto vecchio è un emblema. Al contempo si parla sempre più spesso di microcriminalità, disagio sociale, povertà. Negli ultimi mesi ci sono stati inoltre episodi efferati. Qual è il suo polso della città attuale e che cosa le augura per il futuro?
«Trieste sta affrontando una svolta profonda e innovativa. Di questo ringraziamo il Signore. Ne aveva bisogno. Speriamo che tutto avvenga senza pericolose discontinuità con il bagaglio di valori umani e civili accumulato nella sua sofferta storia e, soprattutto, con la capacità di delineare un profilo di sviluppo che sia solidale. Se si lasciano indietro gli ultimi, vuol dire che si sono sbagliati i calcoli e i programmi. Inoltre, stanno arrivando tanti soldi e con i soldi le tentazioni...».
Questa Pasqua vede anche il ritorno dei rintocchi delle campane di Dolina. Come vive quest’evento?
«Il 25 febbraio ho firmato un decreto generale che entra in vigore proprio in occasione del giorno di Pasqua. Esso regolamenta la materia non solo per quella di Dolina ma per le parrocchie di tutta la Diocesi. Il decreto è stato emanato per salvaguardare i diritti delle comunità cristiane, venendo al contempo incontro alle giuste posizioni che la Procura aveva espresso con le sue iniziative, per dare soddisfazione alle esigenze di un gruppo di abitanti di Dolina. Se letto attentamente, il testo del decreto risulta mutuato da un modello fornito dalla Cei, utilizzato in tutte le diocesi italiane ed elaborato da eminenti giuristi, che ha il suo fondamento nel Concordato stipulato il 18 febbraio 1984, e in particolare nell’articolo 2. La Parrocchia di Dolina, con sacrifici anche economici, ha messo a punto il sistema delle campane, il cui suono dovrà essere occasione di gioia e di pace per tutti».
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