Si rifiutano di lavorare a Pasquetta e finiscono nella lista nera: "Non li assumete"
Una confezione cinese ha licenziato cinque operai. Hanno anche "osato" chiedere ferie e la giornata di 8 ore. Su WeChat il messaggio agli altri imprenditori: "Questi creano problemi"
PRATO. Ci sono operai nel distretto tessile pratese che chiedono di lavorare otto ore al giorno, di non lavorare nelle feste comandate, per esempio a Pasquetta, e addirittura di avere qualche giorno di ferie, ogni tanto. Condizioni previste dai contratti nazionali di lavoro, ma evidentemente ritenute intollerabili dai datori di lavoro. Che li licenziano. E che si premurano poi di redigere una lista nera di “scansafatiche”, un elenco di foto e nomi che vengono spediti in chat ad altri datori di lavoro con la raccomandazione di non assumere questi rompiscatole.
Succede in via Carcerina, tra Poggio a Caiano e Campi Bisenzio, dove ha sede una confezione gestita da cinesi che dà lavoro a molti pachistani. Stesso copione di molte altre vertenze degli ultimi anni. Da una parte i confezionisti cinesi, dall’altra la manodopera pachistana e di altri paesi extracomunitari, gli “invisibili” che mandano avanti il distretto parallelo ora che la manodopera cinese a basso costo non si trova più facilmente come qualche anno fa. Stavolta però c’è il salto di qualità: quella “black list” di nomi da non assumere.
Il caso è montato a Pasquetta, quando cinque operai pachistani sono andati dal padrone a dire che loro quel giorno non volevano lavorare. Anzi chiedevano di lavorare cinque giorni alla settimana, otto ore al giorno, le stesse richieste fatte dagli operai pachistani della stamperia Texprint in una vertenza che si trascina da più di un anno. Apriti cielo. Il padrone li ha licenziati con un messaggio su whatsapp: chi non lavora oggi è fuori per sempre. E a chi chiedeva di lavorare otto ore al giorno: andate pure da un’altra parte.
Il giorno dopo gli operai sono tornati coi sindacalisti del Si Cobas (Luca Toscano e Sarah Caudiero) per fare un presidio. Una donna incinta, presumibilmente la moglie del titolare, li ha affrontati a brutto muro dicendogli di andare via perché quella è casa sua. Quando ha visto che non se ne andavano ha inscenato un goffo tentativo di auto-aggressione aggrappandosi alle spalle di uno dei sindacalisti e fingendo di essere stata colpita. Dopo i primi lamenti si deve essere resa conto che la scenetta era venuta male, si è rialzata e si è attaccata al telefono. Probabilmente si è accorta che la scena era stata ripresa dai partecipanti al presidio e ha preferito desistere.
«Scene di questo tipo, in questi anni di sindacato vissuto davanti ai cancelli delle fabbriche del supersfruttamento, ne sono successe a decine se non centinaia – si legge in una nota del Si Cobas – Si provoca, si simula, e poi si piange davanti alle telecamere oppure arriva una squadretta per menare forte. Magari con tirapugni, mattoni o mazze da baseball, come successo già alla Gruccia Creation, poi alla Texprint e in ultimo alla DreamLand. Sì, perché questi “imprenditori” che da anni fanno profitto sul supersfruttamento nella quasi completa impunità sono pronti a trasformarsi in vittime appena un operaio richiede i propri diritti».
Al momento il Si Cobas non è riuscito nemmeno a capire come si chiama l’azienda, dove secondo i sindacalisti lavorano operai formalmente dipendenti di ditte diverse. «C'è chi lavora da tre anni con contratto a tempo determinato, “part-time” a 20 o 30 ore settimanali – sostiene il sindacato – Nella realtà le ore settimanali di lavoro sono 84. Pagate 1.000 euro. Che nei mesi di “calo lavoro” diventano 500 euro (ma a parità di ore), e in quelli di picco 1.300. E i diritti del contratto nazionale di lavoro esistono solo sulla carta. Non è il Bangladesh, è Campi Bisenzio. Dove si estende il distretto pratese del tessile-abbigliamento di cui tutti conoscono il supersfruttamento».
Nel messaggio diffuso in cinese su WeChat si legge: «Questi pakistani di solito si rifiutano di lavorare duramente nelle fabbriche, procrastinando sempre e chiedendo otto ore di lavoro al giorno. Non lavorare il sabato e la domenica e prendere le ferie. Quando i capi non li vogliono, vengono in fabbrica a creare problemi. Spero che i miei colleghi cinesi non chiedano a queste persone di lavorare in fabbrica». Il Si Cobas vorrebbe che non finisse così, e per questo stamattina alle 11 tornerà in presidio davanti all’azienda di via Carcerina.